Paolo Rossi nel suo recente L’innovazione organizzativa. Forme, contesti e implicazioni sociali (Carocci, 2018) propone un’ampia analisi del concetto di «innovazione organizzativa», termine con il quale fa riferimento ad «un campo di studi che inquadra come i processi di innovazione possano essere costruiti collettivamente in un contesto organizzato e, parallelamente, agire su di esso» (p. 12). Nel contempo, si confronta con l’idea stessa di «innovazione» nel tentativo di offrirne una definizione che la caratterizzi in maniera più precisa e che permetta di non confonderla con altri termini quali «novità» e cambiamento». Lo studioso ha l’obiettivo di offrire una sorta di «atlante» per orientarsi all’interno delle dimensioni in cui si collocano alcuni tra i più importanti studi inerenti l’innovazione organizzativa. A tal fine adotta un approccio di tipo olistico, avvalendosi di strumenti d’analisi e di ricerca eterogenei e interdisciplinari.
L’opera è suddivisa in tre parti: nella prima sezione del testo l’autore fornisce una «grammatica dell’innovazione» per poi circoscrivere e sviluppare storicamente la tematica dei processi innovativi all’interno delle organizzazioni. Nella sezione successiva vengono identificate e analizzate quattro aree attraverso le quali si può declinare lo studio dell’innovazione organizzativa: l’innovazione delle strategie; delle strutture organizzative; dei processi di lavoro e dei prodotti. Infine, nella terza sezione si esaminano più dettagliatamente due questioni dirimenti per l’innovazione organizzativa: il tema della generazione dell’innovazione e quello relativo a gli effetti che essa può avere sull’occupazione.
La prima sezione inserisce il lavoro di Rossi all’interno dell’attuale dibattito riguardante la natura e le possibili declinazioni dell’innovazione. Secondo Benoit Godin, che ha dedicato importanti lavori alla ricostruzione storico\concettuale del termine, oggi l’innovazione è per lo più intesa nell’accezione di «innovazione tecnologica» per il suo contributo al progresso economico, tralasciando quasi del tutto la travagliata storia della sua affermazione, oscurando la sua ricchezza semantica e limitando fortemente i suoi possibili campi di applicazione. Questa tendenza rischia di trascurare altri importanti indirizzi di studi e ricerche (afferenti tanto le scienze umane quanto le scienze sociali) che si sono occupati e si occupano di innovazione, da un lato evitando di ridurne l’analisi al solo aspetto economico-tecnologico, dall’altro sottolineando la necessità di un approccio multidisciplinare ai temi riguardanti l’innovazione. Rossi, perseguendo l’obiettivo di offrire una trattatistica coerente e approfondita di un argomento così complesso e sfaccettato come quello dell’innovazione, ha individuato, nel corso dell’elaborazione dell’opera, alcune «direttrici» o «premesse» attraverso le quali rileggere e discutere l’ampia letteratura disponibile sul tema.
L’autore ha avuto come prima esigenza quella di «decodificare» quella che ritiene una complessa e contraddittoria terminologia utilizzata nel proporre tesi, analisi e riflessioni sull’innovazione. Ha quindi tentato di dimostrare la relatività delle definizioni, delle categorie e dei modelli analitici per illustrare la dinamicità e la pluridimensionalità dei contributi e dei punti di vista. In seguito, Rossi si è proposto di «decostruire» quelli che considera i «discorsi sull’innovazione», utilizzando il termine «discorso» nell’accezione di «processo di costruzione sociale, frutto del dialogo e del confronto tra più attori» (p. 14). È infatti necessario riuscire a leggere più criticamente gli spunti che i discorsi sull’innovazione offrono, in modo da poter decostruire la retorica che accompagna ciascun discorso sull’innovazione grazie a un approccio più attento e riflessivo. Il rischio altrimenti è di adagiarsi su una visione superficiale dei fenomeni, che non permetta di distinguere i concetti di innovazione e tecnologia e che porti a sovrapporli, oppure a ritenere che le diverse accezioni di innovazione non possano prescindere dall’innovazione tecnologica. Infine lo studioso ha cercato di «demistificare» le riflessioni sull’innovazione, circoscrivendo sia la portata di ciò che si sviene indotti a considerare come innovazione sia la valenza degli effetti che essa può avere. Il pregiudizio positivo di cui gode il concetto di innovazione deve quindi essere associato a una maggiore “cautela” analitica che permetta di considerare l’innovazione in un’ottica più trasversale, assumendo possibilmente più punti di osservazione e attenuando gli intenti valutativi.
Certo, Rossi circoscrive la sua analisi al campo specifico dell’innovazione organizzativa, che egli interpreta come una particolare lente attraverso la quale studiare i fenomeni di innovazione, piuttosto che come un sottoinsieme di un più ampio insieme che comprende complessivamente lo studio dell’innovazione. Tuttavia, le sue riflessioni sull’ «innovazione» (volte a definirla e distinguerla rispetto ad altri termini che le sono semanticamente vicini) suggeriscono di intenderla come un fenomeno complesso, dalle molteplici sfaccettature, che non può quindi né essere isolato rispetto ad altri eventi di carattere sociale, né esaurire il suo raggio di applicazione nel solo settore tecnologico. Dopotutto intende l’innovazione come «un costrutto simbolico che contribuisce a caratterizzare la dinamicità dei fenomeni sociali» e il tentativo di definirla è «un processo di interpretazione della realtà» (p. 25).
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