di Eugênio Matiolli Gonçalves
Montaigne non è un autore comunemente associato a Gabriel Naudé. Ciononostante, la relazione tra i due pensatori è incontestabile, anche se poco evidente. Tenendo presente tali elementi, in questo breve contributo non si pretende di risolvere tutti i problemi o di proporre risposte conclusive, ma solo di presentare alcune considerazioni in grado di aiutare ad inquadrare questo campo di lavoro (che comprende tali questioni). La questione qui posta è l’influenza di Montaigne – ed in particolare dei suoi Saggi – sull’opera di Gabriel Naudé, uno dei principali pensatori della ragione di Stato di epoca barocca.
Secondo buona parte della bibliografia secondaria sull’erudito e libertino francese, è nel lascito di Machiavelli che si trova l’origine del testo naudiano. Da Meinecke a Senellart, il lavoro di Naudé è indicato come l’espressione più importante del machiavellismo del Seicento[1]. E a ragione. Di fatto, l’uso politico della crudeltà e della menzogna, in una apologia dell’astuzia del principe come arma principale nella lotta per la conservazione del governo, costituisce il fondamento delle Considerations politiques sur les coups d’État, del 1639.
È proprio nella sua opera principale che la teoria del colpo di Stato è esposta come proposta di azione in tempi di costante minaccia ai poteri del principe. Più che di azione, il colpo di Stato si costituisce essenzialmente di un contro colpo di Stato che colpisce anticipatamente, qualificandosi come manovra preventiva. Autore di una famosa difesa del massacro di San Bartolomeo, il cui unico errore è stato di non aver portato a termine la completa eliminazione dei protestanti, Naudé riceve rapidamente l’epiteto di seguace fedele di Machiavelli, che lo identifica ancora oggi.
Per questi motivi, un lettore incauto, basandosi sui pochi commenti a Naudé, aprirebbe le sua Considerazioni politiche credendo di trovarci la pura riproposizione dell’opera di Machiavelli. Questo è un grande sbaglio. Machiavelli, di cui Naudé sarebbe, secondo la tradizione, un grande seguace, risulta poco citato nel testo, tanto da ricevere lo stesso numero di menzioni di Cicerone: sei per il primo e cinque per il secondo.
È chiaro che il filosofo fiorentino appaia nel testo naudiano, ma la sua presenza è secondaria e non ha nessun rilievo nella costituzione della teoria del colpo di Stato di Naudé.
Se, però, non è Machiavelli il più importante riferimento del libertino, qual è la base teorica dei suoi scritti? È proprio Naudé ad offrirci la risposta a questa domanda nel primo capitolo del suo libro: “Seneca mi è servito più di Aristotele; Plutarco più di Platone; Giovenale e Orazio più di Omero e Virgilio; Montaigne e Charron più di tutti i precedenti”[2].
In verità, il nucleo argomentativo di Naudé, soprattutto nel secondo e nel terzo capitolo delle Considerazioni politiche è guidato in buona misura dalle considerazioni di Charron e Montaigne. E, nonstante che Montaigne non appaia sempre in maniera diretta, è proprio da lui che derivano buona parte dei passi estratti dalla Sagesse charronniana. Un siffatto modus operandi permette di identificare un determinato standard nell’opera del libertino: Naudé cerca passaggi della Sagesse di Charron, che quest’ultimo, a sua volta, aveva cercato nei Saggi di Montaigne. Per questo motivo, si percepisce nettamente la presenza di un Montaigne doppiamente distorto dietro a diversi passaggi della teoria del colpo di Stato di Naudé.
Già nelle prime pagine delle Considerazioni politiche, l’autore afferma che “Molti ritengono che un principe saggio ed esperto debba, se la necessità lo richiede, non solo comandare secondo le leggi, ma alle leggi stesse. Per rispettare la giustizia nelle cose grandi, dice Charron, bisogna talvolta allontanarsene nelle cose piccole; per agire con giustizia all’ingrosso è permesso far torto al dettaglio”[3]. Non è un mero caso questa menzione di Charron. Questa citazione, in cui l’ordine delle massime è invertito, è stata copiata direttamente dal secondo capitolo del terzo libro della Sagesse. Qui Charron afferma che “Per salvaguardare la giustizia nelle grandi cose, bisogna, a volte, distogliersene nelle piccole cose; e per fare giustizia all’ingrosso, è permesso fare torto al dettaglio: (…) che il principe prudente e saggio non debba solo saper comandare secondo le leggi, ma anche alle leggi stesse, laddove la necessità lo richieda (…)”[4].
Charron, a sua volta, non è l’autore originale di queste parole. Anch’egli adatta queste citazioni che provengono da un altro testo: i Saggi di Montaigne. La prima parte della citazione charroniana nasce da un’aggiunta del 1588 al saggio III, 13, “Dell’esperienza”. Vi si legge: “Tutto questo mi fa ricordare quelle antiche opinioni: che è giocoforza far torto al dettaglio se si vuol far giustizia all’ingrosso, e fare ingiustizia nelle piccole cose se si vuol riuscire a far giustizia nelle grandi”[5]. La seconda parte è stata presa da Charron dal primo libro dei Saggi e, più precisamente, dall’ultima frase del I, 23, “Della consuetudine e del non cambiar facilmente una legge acquisita”. Qui, Montaigne si rifà a Plutarco commentando che: “È di questo che Plutarco loda Filopemene che, nato per comandare, sapeva non soltanto comandare secondo le leggi, ma alle leggi stesse, quando la necessità pubblica lo richiedeva”[6].
Osservare questo percorso, il cammino fatto attraverso queste citazioni, aiuta a misurare l’influenza di Montaigne sul testo di Gabriel Naudé. Più che una semplice influenza, percepire la genesi di queste argomentazioni nell’opera del libertino permette di portare alla luce un autore raramente indicato come uno dei suoi principali riferimenti.
In altri luoghi delle Considerazioni politiche si possono addirittura notare cambiamenti ancora più radicali nelle citazioni scelte; non solo nella forma, ma anche nel senso dei suoi concetti interni. Un buon esempio è la nozione di regret – che viene modificato fino all’uso che ne fa Naudé. Nel fornire consigli sulle regole d’uso del colpo di Stato, il bibliotecaio dice:
La quinta regola è quella che consiglia ai prìncipi, per giustificare ed evitare il biasimo che di solito accompagna simili azioni, allorquando essi si trovino ridotti e necessitati a praticarle, di non stancarsi di mostrare dispiacere, sospirando[7] come un padre che abbia fatto cauterizzare o tagliare un braccio al proprio figlio per salvargli la vita, o gli abbia fatto togliere un dente per ridargli tranquillità.[8]
In questo passo è palese il cinismo del bibliotecario: dato che azioni come queste portano con sé un certo peso (in funzione del danno inevitabile che portano con sé), è importante deplorarle pubblicamente, lasciando intendere che il loro autore sia realmente dispiaciuto degli effetti collaterali che le accompagnano – anche quando tale sentimento non sia sincero.
Un rapido sguardo al discorso sulla prudenza ordinaria nella Sagesse, III, 2, permette di localizzare l’origine del passo citato. Con le parole di Charron:
(…) quando i principi si trovano in situazioni tanto estreme, devono realizzare tali effetti solo con rammarico e sospirando[9], riconoscendo che si tratta di una disgrazia e di un colpo sfortunato del cielo, e si devono comportare come un padre quando deve cauterizzare o tagliare un arto a suo figlio per salvargli la vita, o strappargli un dente per avere riposo.[10]
La differenza tra i passi è piccola, ma significativa. Secondo Charron, in mezzo a situazioni di emergenza, per risolvere il problema spetta al principe riconoscere e mettere in atto il sacrificio necessario, ma solo mediante il regret. In altri termini, “tali atti [devono essere realizzati] soltanto con rammarico e sospirando”. Questa specie di regret des princes – il peccato dal lato del principe – sarebbe, in realtà, anteriore all’azione che dev’essere posta in opera.
Naudé, del resto, inverte l’ordine degli elementi, mettendo in scena prima l’azione necessaria e, in seguito, solo al fine di giustificarla, un certo pentimento pubblico, falso e dissimulato, come se si deridessero coloro che sentono davvero il peso della decisione inevitabile. Secondo il bibliotecario, dato che è necessario giustificare il colpo di Stato, è consigliabile che il principe dimostri pubblicamente un certo regret, ridotto qui praticamente a mero obbligo formale.
In entrambi i casi, però, il regret presente nell’azione del principe sembra destituito del valore che ha originariamente nel testo di Montaigne. Nei Saggi, III, 1 si legge:
Il principe, quando una circostanza urgente e qualche improvviso e inopinato caso di bisogno del suo Stato lo fa venir meno alla sua parola e alla sua fede, o lo spinge altrimenti fuori del suo consueto dovere, deve attribuire questa necessità a un colpo della verga divina. Non è vizio, poiché egli ha abbandonato la sua ragione per una più universale e potente ragione. Ma certo è disgrazia (…) bisognava farlo. Ma se lo ha fatto senza rammarico, se non gli è pesato farlo[11], è segno che la sua coscienza è in cattive condizioni.[12]
In Montaigne, l’auspicato pentimento del principe è sincero, nato dalla sua interiorità, e non è un mero dovere sociale. Il governante di Montaigne sente profondamente il peso della sua decisione che, nonostante tutto, dev’essere presa. Su il senso originale di questa idea su Montaigne, dice Sérgio Cardoso che “nei casi straordinari di “salute pubblica” [salus populi], nei quali al principe rimane solo la via della violenza, (…) solo le sue armi e il suo rammarico possono riaprire lo spazio politico, rilanciare la fides, che sostengono le leggi e i legami sociali”[13]. Al contrario di Charron e Naudé, nei Saggi il regret non è al servizio di azioni eccezionali; esso porta con sé un principio di sincera legittimità.
Mi pare esemplare la maniera in cui il regret di Montaigne compare nell’ultima regola naudiana dell’uso del colpo di Stato. Ecco un’altro esempio di una dimostrazione di un percorso, quasi sempre mediato da Charron, che in vista di fini pragmatici culmina, nelle Considerazioni politiche, in un allargamento – e in buona parte in una distorsione – di concetti cari al secolo XVI.
In questo processo, però, la figura di Charron non dev’essere ridotta ad un semplice “ponte” per gli scritti di Montaigne.
Assunto da Naudé come una delle sue fonti principali nell’elaborazione delle Considerazioni politiche, la presenza di Charron permea tutto lo sviluppo del pensiero naudiano. Se nella Bibliographia Politica (1633) il discepolo di Montaigne è considerato un uomo più saggio dello stesso Socrate[14], in Le Mascurat (1649) la Sagesse è menzionata da un personaggio del dialogo come uno dei “migliori libri del mondo” [15]. È, però, nelle Considerazioni Politiche che l’influenza degli scritti di Charron su Naudé appare in maniera esplicita.
È difficile misurare con precisione la presenza dell’opera charroniana nel testo naudiano. Nonostante sia possibile contare i riferimenti diretti del libertino a Charron, non è possibile contare i vari riferimenti ai passi della Sagesse semplicemente trascritti da Naudé. È certa l’influenza di Montaigne che arriva indirettamente a Naudé mediata dalla lettura della Sagesse. Per altro, di qualunque forma possa essere la presenza diretta di Montaigne nel testo naudiano, senza la mediazione di Charron, sarebbe stato improbabile che Naudé avrebbe potuto essere disposto ad accettare la visione – più moderata della sua – dell’autore dei Saggi. Alla fine de III, 1, Dell’utile e dell’onesto, si trova un passaggio che, al di là di ogni anacronismo, sembra indirizzato proprio al teorico del colpo di Stato:
Si deduce male l’onestà e la bellezza di un’azione dalla sua utilità, e se conclude male stimando che ogniuno vi sia obbligato, e che essa sia onesta per ogniuno dato che è utile.[16]
Ma Montaigne non è certamente l’unico autore a passare per questo tipo di processo nelle mani di Gabriel Naudé. C’è un altro pensatore del Cinquecento che è trattato in modo simile nell’opera del libertino, anche se in modo meno esplicito e con più peso di Montaigne e Charron: Justus Lipsius, il più importante rappresentante del neostoicismo.
Nonostante questo sia un tema per un’altra esposizione, la pesante presenza di Lipsius nell’opera di Gabriel Naudé, in particolare riguardo il concetto di prudenza politica, ci aiuta a pensare la mappa concettuale che struttura il testo naudiano, questa volta ridimensionando la presenza di Machiavelli.
Anche se è difficile (se non insensato) sostenere che non ci sia nessun tipo di influenza di Machiavelli negli scritti di Naudé, Lipsius e Charron[17], incorreremmo in un equivoco se attribuissimo al fiorentino alcune responsabilità tra le quali la genesi della tematica della ragione di Stato presente in Naudé. È fondamentale osservare che anche essendo chiara la presenza di questi scrittori nel dibattito esposto, l’origine principale delle idee da loro veicolate è un’altra e non è di matrice machiavelliana.
Così, chiediamoci: In che misura l’opera di Montaigne, che abbiamo già visto essere presente in uno dei principali rappresentanti del libertinismo erudito, influenza gli scritti etici dell’epoca? Qual è il peso dei Saggi sui trattati sulla ragione di Stato del Seicento? Ecco, appunto, che il nostro orizzonte di ricerca si apre.
Eugênio Matiolli Gonçalves è dottorando di ricerca in filosofia all’Università di San Paolo (USP-Brasile) dove ha conseguito il Master in Filosofia. Svolge parte delle sue attività di ricerca presso le Università di Jean Moulin di Lione e di Torino nonché la Fondazione Luigi Firpo. È vicedirettore del Cadernos de Ética e Filosofia Política (Giornale di Etica e Filosofia Politica -USP) e membro permanente del gruppo di ricerca e di lavoro “Etica e Filosofia Politica del Rinascimento”, afferente all’Associazione Nazionale Brasiliana di Studi Laureati in Filosofia (Anpof-Brasile). Eugênio Mattioli è autore di diversi studi sul tema della ragion di Stato, con un particolare interesse per le opere di Gabriel Naudé e la nozione di prudenza politica nel Neostoicismo.
[1] Cf. SENELLART, M. La Raison d’Etat Antimachiavélienne. In: C. LAZZERI e D. REYNIÉ (ed.), La raison d’état: politique et rationalité . Paris, PUF, 1992, p. 28-29. Secondo Meinecke, l’opera di Naudé “al Seicento si è diventata il più conosciuto manuale di governo rappresentante dell’ordine machiavelliana.” (MEINECKE, F. Machiavellism: the Doctrine of Raison d’Etat and its Place in Modern History, translated by Douglas Scott. London: Routledge and Kegan Paul, 1957, p. 197).
[2] NAUDÉ, G. Considerazioni politiche sui colpi di stato, traduzione, introduzione e cura di Alessandro Piazzi. Milano: Giuffrè Editore, 1992, p. 116.
[3] Ibidem, p. 107.
[4] CHARRON, P . De la sagesse. Paris: Fayard, 1986, p. 627.
[5] MONTAIGNE, M. Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon. Milano: Bompiani, 2012, p. 1993-1995.
[6] Ibidem, p. 221.
[7] Secondo il testo originale: ils ne le fassent qu’à regret, & en souspirant (…). (NAUDÉ, G. Considérations Politiques Sur Les Coups d’Etat. Hildesheim: Georg Olms, 1993, p. 81).
[8] NAUDÉ, G. Considerazioni politiche sui colpi di stato, traduzione, introduzione e cura di Alessandro Piazzi. Milano: Giuffrè Editore, 1992, p. 177.
[9] Secondo il testo originale: à tells faits qu’a regret, et en souspirants (…). (CHARRON, P . De la sagesse. Paris: Fayard, 1986, p. 560).
[10] Idem.
[11] Secondo il testo originale: mais s’il le fit, sans regret (…). (MONTAIGNE, M. Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon. Milano: Bompiani, 2012, p. 1476).
[12] Ibidem, p. 1477-1479.
[13] CARDOSO, S. Trois points de repère et trois “avis au lecteur” du III, 1. In: Bulletin de la société internationale des amis de Montaigne, 2012-2, n. 56, p. 222.
[14] Cf. NAUDÉ, G. Bibliografia politica. A cura di Domenico Bosco. Roma: Bulzoni Editore, 1997, p. 107.
[15] Cf. Eugenio di Rienzo. Saggezza, prudenza, politica: stabilità e crisi nel pensiero francese del Seicento. In: DINI, V. e TARANTO, D. (ed.). La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1987, p. 58.
[16] MONTAIGNE, M. Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon. Milano: Bompiani, 2012, p. 1485.
[17] Su questo soggetto, in particolare il caso di Charron, cf. BATTISTA, A. Politica e morale nella Francia dell’età moderna, a cura di A. M. Lazzarino Del Grosso. Genova: Name, 1998, p. 109-135.
Stampa questo articolo