E’ da poco pubblicato il volume Innovazione/i. Innovazione politica e sociale. Teorie, politiche, immaginari (Guida, 2021), curato da Pierluigi Ametrano, Alessandro Arienzo e Giovan Giuseppe Monti. Il volume è stato pubblicato con finanziamenti MIUR 2015 e del programma Cassini dell’Ambasciata di Francia e dell’Institut français. La raccolta costituisce il quarto volume della collana “Filosofia, innovazione, democrazia” e prosegue la nostra riflessione collettiva sul tema dell’innovazione. Coi contributi di Pierluigi Ametrano, Alessandro Arienzo, Marco Bentivogli, Marco Cerotto, Fabienne Martin-Juchat, Giovan Giuseppe Monti, Flavia Palazzi, Micol Rispoli, Pietro Sebastianelli, Federico Simonetti, Thierry Ménissier. La splendida copertina è di Emilio Fulminante, che ringraziamo, e rappresenta la stilizzazione di Umberto Boccioni (1882-1916), Forme uniche della continuità dello spazio (1913).
Pubblichiamo la breve introduzione e l’indice al volume.
Il nostro primo volume dedicato ai temi dell’innovazione e alle sue molteplici declinazioni era introdotto dal seguente interrogativo: «di cosa discutiamo esattamente, a cosa ci riferiamo, quando parliamo di innovazione?»[1]. Infatti, ci sembrava che tale concetto, tanto utilizzato da risultare inflazio- nato, fosse interpretato in maniera sin troppo autoevidente e acritica, tanto nel dibattito pubblico quanto in quello tecno- logico-economico, e che le sue origini, le sue molteplici declinazioni e i suoi mutevoli confini fossero per lo più poco di-scussi o dati per acquisiti [2]. In questo secondo volume è nostra intenzione dare seguito e ampliare la nostra indagine (certamente ancora ben lontana dal potersi ritenere esaurita), con l’obiettivo di sottoporre ad una ulteriore problematizzazione tanto la categoria di innovazione, e l’ingiunzione a innovare che sembra caratterizzare la nostra società. Adottando quindi una prospettiva e un approccio multidisciplinare volto a evidenziare le complessità e le prospettive che si celano all’interno delle dinamiche di innovazione.
Il concetto di innovazione ha una lunga storia e, nel corso del tempo, è stato attraversato e pervaso da significati mutevoli. Secondo Benoît Godin, che ha dedicato importanti lavori alla ricostruzione storico-genealogica del concetto, oggi l’innovazione è intesa, in maniera quasi automatica e spontanea, come innovazione tecnologica in virtù del suo contributo alla crescita e lo sviluppo economico[3]. Tuttavia, l’autore ha sottolineato come, almeno fino alla prima metà del Novecento, la storia di questa nozione non avesse avuto nulla a che fare con l’economia, rappresentando piuttosto l’accezione negativa di fenomeni afferenti al campo della politica, diventando oggetto di contestazione in filosofia così come in religione e in ambito sociale. Il carattere conflittuale e problematico che caratterizzava il concetto di innovazione sarebbe progressivamente svanito solo negli ultimi anni. Infatti, se in passato l’espressione rappresentava una nozione condannabile e sovversiva, ora esprime un concetto virtuoso e orientato al futuro, uno strumento essenziale per raggiungere obiettivi politici e sociali[4]. Seppur precedentemente usato come semplice slogan o arma di contestazione ideologica, il concetto di innovazione compie quindi un processo di graduale familiarizzazione con il lessico politico moderno, iniziando una lenta “redenzione” che gli permette di perdere la sua significazione esclusivamente negativa, assumendo il valore di processo rivoluzionario o di ricerca di libertà, tanto per il singolo quanto per la collettività. Tra disconoscimenti, pregiudizi e fraintendimenti, la nozione di innovazione ha così accumulato una polisemia di cui è difficile cogliere la piena evoluzione, nonostante in alcuni casi sia proprio il cambiamento semantico «uno dei mezzi a nostra disposizione per ripensare e cambiare il nostro mondo, modificando i modi in cui si applicano i vocaboli»[5]. Ci sembra quindi utile riflettere sul modo in cui il concetto di innovazione sia mutato dalla rappresentazione di una potenza disgregatrice del tessuto politico e culturale a un significante istituzionalizzato, un principio che struttura la prassi politica. Una trasformazione che ha indotto un’in- versione da vizio e devianza deprecabile a evento e azione virtuosa, necessari e fortemente auspicati.
Oggi l’innovazione è declinata come valore in sé, da cui non si può prescindere, come una funzione di cui non si può fare a meno, sinonimo di utilità e di progresso, ad esclusivo appannaggio dell’economia e della tecnologia. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato un importante ed eterogeneo aumento di interessi, di studi e ricerche che si sono occupati o si occupano di innovazione, sia dal punto di vista dei saperi propri delle scienze umane quanto delle scienze sociali[6]. Le discipline filosofiche hanno purtroppo accumulato un discreto, quanto sorprendente, ritardo all’interno di questi interessi. D’accordo con l’analisi proposta da Godin, secondo cui il termine innovazione ha la peculiarità di essere un concetto ancora privo di adeguata teorizzazione[7], tale ritardo appare ancora più paradossale. Infatti, come sottolinea Thierry Ménissier, la filosofia è per sua stessa natura anche un «discorso di comprensione del cambiamento»[8], la cui rilevanza risiede nella sua capacità di generare nozioni generali e utili a indirizzare il giudizio e la condotta delle persone. Inoltre, grazie alle sue caratteristiche costitutive, potrebbe essere una risorsa e un punto di riferimento per tutte le altre scienze, poiché (indifferentemente dal suo essere intesa come conoscenza descrittiva, critica, valutativa o prescrittiva) i concetti che propone devono essere intesi non solo «in funzione della loro capacità di far conoscere e interpretare la realtà, ma anche di migliorarla»[9]. Da queste premesse riteniamo sia utile proporre un approccio filosofico alla nozione di innovazione, che possa evidenziarne i regimi di saperi che agiscono all’interno delle nostre società innovative.
Nella prima sezione del volume – Teorie dell’innovazione – sono raccolti contributi che, grazie alla loro eterogeneità, abbiamo ritenuto utili non solo ad introdurre e ampliare alcuni temi e nodi problematici del concetto di innovazione – riguardanti l’aspetto polisemantico e transdisciplinare che lo caratterizzano – ma anche a definirne un campo di afferenza che non lo imbrigli nelle maglie della sola innovazione tecnologica, tentando di intendere l’innovazione come un momento di cambiamento «consapevole ed autoriflessivo», rendendo la pratica innovativa parte di uno sforzo di rinnovamento politico-sociale connesso strettamente al tema del governo collettivo della cosa pubblica.
L’articolo con cui ha inizio la sezione è quello di Alessandro Arienzo, in cui l’autore riflette su quel peculiare incrocio tra spazio ed aspettative che chiamiamo innovazione alla luce dell’esaurimento e della scomparsa dell’orizzonte di rivoluzione, di liberazione e di progresso. A fronte di tale circostanza, l’autore si interroga sulla capacità della nostra cultura e della nostra società di reggere il peso dell’assenza di un senso ordinatore della storia, indicando come una possibile soluzione la necessità di restituire all’innovazione una forte accezione politica e civile, recuperando una qualche istanza orientativa. Una simile soluzione necessiterebbe quindi di sottoporre la categoria di innovazione a un’ulteriore problematizzazione, pensandola e praticandola in maniera tale da implementare una prospettiva socialmente coordinata e orientata alla “produzione” di ricchezze, esperienze e singolarità ad opera della tecnica e della scienza.
Successivamente proponiamo la traduzione di un importante articolo di Thierry Ménissier. Qui, a partire da quello che viene definito un «sorprendente ritardo» accumulato dai saperi filosofici riguardo ai temi legati all’innovazione, l’autore riflette su come mettere in relazione filosofia e innovazione nella prospettiva di una «filosofia dell’innovazione». A tal fine propone quattro prospettive di ricerca attraverso cui l’innovazione potrebbe permettere alla filosofia di lavorare e intervenire su alcune sue categorie fondamentali quali: l’interpretazione della storia e del cambiamento; il rapporto tra uomo e artefatti in grado di cambiare la sua natura; la riflessione sull’utopia, definita filosoficamente come un tentativo intellettuale di determinare il miglior mondo possibile; e la necessità di ripensare i modi di essere, i princìpi e i valori che dovrebbero governare le nostre società democratiche-repubblicane.
Spostandoci sul versante sociologico-antropologico, abbiamo la versione tradotta di un saggio di Fabienne Martin-Juchat, che affronta l’entusiasmo verso le molteplici forme in cui si mostra l’Intelligenza Artificiale, proponendo una spiegazione che va al di là tanto del tema dell’alleanza tra capitalismo finanziario e sviluppo tecnologico, quanto del rapporto tra innovazione tecnologica e la cosiddetta economia dell’attenzione. Secondo l’autrice, le tecnologie sono sempre sostenute da un particolare sistema di valori e l’entusiasmo generale riscontrato è dovuto al fatto che si sta sviluppando un’assiologia, certamente inscritta nella continuità dei valori della modernità, ma anche in grado di rispondere a quello che può essere identificato come un bisogno generalizzato di dipendenza emotiva dalla tecnologia. Più precisamente, quest’esigenza è diventata globalmente significativa dal momento che la materialità tecnica, grazie alle recenti innovazioni, sta riuscendo ad associare, in modo inedito, i valori compatibili della modernità con quelli delle religioni monoteistiche, rinnovando nel contempo parte di valori animisti mai scomparsi in un neo-animismo tecnologico.
Infine, questa prima sezione è chiusa dall’articolo a quattro mani di Marco Bentivogli e Flavia Palazzi, i quali discutono l’attuale tema dello smart working e del diritto alla disconnessione nel tentativo di affrontare e superare le principali resistenze loro rivolte, proponendo un utile parallelismo tra l’ordinamento italiano e quello francese. In tale contesto profondamente segnato dall’ingresso e dall’influenza delle nuove tecnologie, gli autori sottolineano come il sindacato sarà chiamato a ricoprire un ruolo fondamentale per costruire, nelle organizzazioni e nelle aziende, una nuova cultura del lavoro, se non il modo stesso di pensare il lavoro.
Nella seconda sezione del volume – Percorsi e pratiche dell’innovazione – presentiamo alcune declinazioni e ricadute storiche del concetto di innovazione che, a seconda dei differenti e mutevoli contesti, ha di volta in volta assunto caratteristiche, campi di afferenza, percorsi e pratiche diversi. Infatti, con questo volume intendiamo proporre un allargamento, un’analisi e una ricollocazione semantica di un concetto – tanto inflazionato quanto poco criticamente approfondito – come quello di innovazione. Esso non dovrebbe rappresentare solo l’innovazione tecnologica, né appiattirsi su modelli economici, piuttosto, dovrebbe dotarsi di capacità d’analisi auto-riflessive, allargando il proprio spettro di indagine alla società e ai suoi frenetici cambiamenti. Intesa come innovazione sociale, essa ci permetterebbe non solo di analizzare la questione del tipo di relazione che oggi si instaura tra l’uomo e le dinamiche complesse attivate dai suoi artefatti e dai loro usi, ma anche di problematizzare le relazioni attuali dell’insieme uomo – macchina – natura, oltre che entrare in relazione diretta con l’etica, poiché cerca di fornire soluzioni e risposte nuove a situazioni sociali giudicate insoddisfacenti sia dai singoli che dalla collettività.
Il primo contributo di questa sezione è a cura di Giovan Giuseppe Monti, il quale mostra l’evolversi delle diverse accezioni che il termine innovazione ha assunto nel corso della storia, altresì sottolineando come il concetto di innovazione sia diverso da nozioni quali progresso e cambiamento. Il confine tra queste definizioni è così labile che spesso i concetti si confondono e si sovrappongono. Il contributo si rivela quindi utile a dirimere le perplessità che esistono nel campo di indagine e a presentare alcune delle più interessanti risorse che i saperi filosofi hanno offerto e offrono agli studi critici sull’innovazione.
L’obiettivo del saggio successivo, a firma di Pietro Sebastianelli è di analizzare, in un’ottica genealogica, le logiche e le pratiche dell’agire sociale contemporaneo all’interno delle maglie della razionalità di governo neoliberale. Infatti, secondo il nostro autore, indagare tali logiche e pratiche, ponendo in evidenza i processi di soggettivazione che le sostengono, può rappresentare una delle condizioni di possibilità per pensare a logiche e pratiche dell’azione politica che introducano discontinuità e innovazione nella cornice della post-democrazia contemporanea.
In seguito, grazie al contributo di Marco Cerotto, affrontiamo la lettura innovativa del neocapitalismo e l’originalità della formulazione del pensiero politico di Renato Panzieri, che rappresentò una valida alternativa strategica per affrontare l’impasse politica del movimento operaio durante gli anni della sua crisi storica. Secondo Cerotto, l’attualità del pensiero politico panzieriano può essere rinvenuta seguendo i nodi irrisolti dell’intero filone operaista, che sicuramente influenzano tuttora la ricerca di una prospettiva di democrazia socialista, cioè di una democrazia sostanziale e non formale, che si impone inevitabile negli sviluppi storico-politici contemporanei, laddove i tradizionali istituti democratici risultano svuotati contenutisticamente dal continuo asservimento al potere economico-finanziario. Al contrario, nella riflessione panzieriana si afferma l’urgenza di sviluppare una prospettiva politica per una democrazia autentica che coinvolga profondamente la sfera dell’emancipazione economica.
Il contributo di Micol Rispoli propone una riflessione critica sul significato del termine innovazione in relazione alla pratica architettonica, tracciandone, sia pure a grandi linee, l’evoluzione storica e segnalando l’urgenza di una sua, talvolta radicale, riconsiderazione. Infatti, alla luce del fatto che la congiuntura tra crisi economica e ambientale e la rivoluzione tecnologica stanno determinando una radicale trasformazione di stili di vita, prospettive e capacità di immaginare il mondo futuro, il sapere progettuale ha dimostrato una scarsa capacità nel generare prestazioni corrispondenti a una simile condizione instabile e incerta. Pertanto, secondo l’autrice, diviene urgente interrogarsi su quale sia il destino dell’architettura rispetto a un simile scenario e offre la sua esperienza di ri-apprendimento con Ignacio Farias e Tomàs Sanchez Criado all’interno di un’esperienza che ha inteso esplorare il significato e il valore dell’innovazione, per la pratica architettonica, nel rapporto con un soggetto neurodiverso.
Invece, attraverso l’articolo di Martina Menna, abbiamo la possibilità di approfondire il ruolo delle piatteforme digitali e il modello di economia di scambio che da queste si alimenta, riflettendo sul significato e l’utilizzo odierno delle due macrocategorie collaborative economy e sharing economy. L’obiettivo di quest’ultima, infatti, è quello di ottimizzare le risorse, non producendone di nuove, ma privilegiando l’utilizzo di quelle esistenti. Tale ambizione legherebbe l’economia condivisa alle istanzedella circular economy in un contesto di crescente attenzione internazionale sul tema della sostenibilità. In questo modo l’economia circolare si propone come modello alternativo per ridurre lo sfruttamento intensivo delle risorse, attraverso la trasformazione e il riutilizzo delle merci in altre risorse. L’idea di passare ad un modello di sharing economy può così rappresentare un punto di svolta non solo nell’immediato futuro per la componente green dei movimenti politici, ma per le politiche economiche e sociali transnazionali che dovranno far fronte, a partire da oggi, alle falle che il sistema industriale lineare ha prodotto in ambito economico, ambientale e sociale. Infine, abbiamo due contributi che hanno al centro del loro ragionamento i temi del desiderio e delle soggettivazioni contemporanee. Da un lato, Pierluigi Ametrano cerca di mettere in relazione la dialettica del desiderio con la dinamica interna delle tecnologie informatiche. Difatti, se il desiderio è una tensione lineare verso un oggetto, al contrario i dispositivi tecnologici si reggono su una logica circolare di ricerca e di consumo immediato. Ecco che, secondo l’analisi lacaniana, il desiderio cede il passo al godimento e ciò implica quindi la nascita di una nuova forma di soggettivazione. Dall’altro lato, il contributo di Simonetti affronta un argomento riguardante un particolare mezzo di comunicazione di massa che difficilmente rientra all’interno delle analisi “filosofiche”, nonostante rappresenti uno strumento ideale per confrontarsi con le soggettività contemporanee in quanto elementi di un mondo profondamente formato e trasformato dai dispositivi digitali: i videogames. L’autore, dialogando con il pensiero di Bernard Stiegler, propone quindi una loro interpretazione come quintessenza dei pharmakon della tecnologia digitale e dei media moderni, ovvero come dei dispositivi in grado di risultare sia tossici che terapeutici.
L’indice del volume
[1] F. Palazzi, G.G. Monti e P. Ametrano (a cura di), Innovazione/i. Percorsi per una strategia multidisciplinare, Napoli, Guida Editore, 2019.
[2] Si era dimostrata certamente lontana da questo approccio la rivista “Quaderni. Communication, technologies, puovoir” che nel 2016 aveva pubblicato due numeri dedicati al tema transdisciplinare dell’innovazione. Vedi B. Paulré (a cura di), L’innovation dans tous ses états – I, in “Quaderni”, 90, 2016; L’innovation dans tous ses états – II, in “Quaderni”, 91, 2016.
[3] B. Godin, The innovation: The history of a category, working paper n.1, “Project on the Intellectual History of Innovation”, 2008. Per una rassegna più ampia e aggiornata dei lavoro dello studioso si rimanda al sito del progetto finanziato dal Canadian Social Sciences and Humanities Research Council (SSHRC): http://www.csiic.ca/en/the-idea-of-innovation/ oltre al n.1 della rivista “Novation”.
[4] Vedi B. Godin, Innovation Contested. The Idea of Innovation over the Centuries, New York, Routledge, 2015; per un’ulteriore analisi del concetto di innovazione, si veda il relativo capitolo di J.P. Leary, The Innovation Cult, in Keywords: The New Language of Capitalism, Chicago, Hayamarket Books, 2019. Si veda soprattutto T. Ménissier, Innovations: Une enquête philosophique, Paris, Hermann, 2021.
[5] Q. Skinner, Rhetoric and Conceptual Change, in “Finnish Year book of Political Thought”, III, p. 69, 1999; cit. in B. Godin, op. cit. Innovation contested, p. 3.
[6] Rimandiamo almeno ai seguenti studi: B. Godin, V. Dominique (a cura di), Critical Studies of Innovation. Alternative approaches to Pro-Innovation Bias, Northampton, Edward Elgar, 2017; P. Rossi, L’innovazione organizzativa. Forme, contesti e implicazioni sociali, Roma, Carocci Editore, 2018; P. Xavier, L’innovation à l’épreuve de la philosophie, Paris, Puf, 2018; L. von Schomberg, V. Blok, The turbolent age of innovation, in “Synthese”, 2018. Segnaliamo inoltre la pubblicazione del primo lavoro della rivista “Novation. Critical Studies of Innovation”, X-Innovation. Re-inventing Innovation Again and Again, I, 2019.
[7] Vedi B. Godin op. cit. Innovation contested, p. 5.
[8] T. Ménissier, Philosophie et innovation, ou philosophie de l’innovation, in “Klesis. Revue Philosophique”, 18, 2011, p. 10. Si può consultare la traduzione italiana dell’articolo nel prosieguo del presente volume, vedi T. Ménissier, Filosofia e innovazione, o filosofia dell’innovazione.
[9] Ivi.
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