di Artemio Enzo Baldini (Univ. di Torino). Questo testo, pubblicato nel n.2/1992 dell’ormai cessato Bollettino dell’Archivio della Ragion di Stato apre una nuova “sezione” delle nostre pubblicazioni: la riedizione dei contributi raccolti negli anni dagli studiosi del vecchio centro studi. E’ nostra intenzione rendere disponibili questi contributi innanzitutto sul nostro sito, poi in un volume che renderemo disponibile in formato pdf.
Girolamo Frachetta nasce a Rovigo nel 1558. Studia umane lettere a Rovigo con Antonio Riccoboni e diventa allievo in filosofia di Francesco Piccolomini a Padova. Laureatosi in legge si mette al servizio del cardinal Luigi d’Este a Roma dal 1582 al 1586; in questa città lavora presso il cardinale Scipione Gonzaga e il duca di Sessa, ambasciatore spagnolo presso la corte pontificia. Per motivi sconosciuti fu costretto ad abbandonare Roma e a rifugiarsi a Napoli, dove viene accolto dal viceré conte di Benevento, che gli assegna uno stipendio annuale. Dal 1611 al 1617 svolge a Napoli la funzione di agente per il duca di Urbino; qui morirà nel 1619. Oltre alla importante produzione di scritti politici, vanno ricordate alcune opere letterarie: Dialogo del furore poetico (Padova, 1581); La Spositione sopra la canzone di Guido Cavalcanti: Donna mi prega (Venezia, 1585); Breve spositione di tutta l’opera di Lucretio (Venezia, 1589).
Girolamo Frachetta: vicissitudini e percorsi culturali di un pensatore politico nell’Italia della Controriforma.
Nacque nel 1558 da Stefano e Marta Castelli a Rovigo, dove fu battezzato il 10 febbraio. Qui i Frachetta si erano trasferiti verso la metà del ‘400 da Legnago e nel corso del ‘500 avevano notevolmente consolidato la loro presenza e il peso economico, esercitando l’arte di calzolai e la mercatura. Già nel 1553 uno zio paterno di F. Gaspare, si addottorò in legge a Padova, mentre il figlio di questi, Ambrogio (che F. nominerà proprio erede), sarà cooptato nel “nobile” consiglio comunale della città nel 1618 [1].
Abbiamo scarne notizie sui genitori di F.; nel suo atto di battesimo, il padre figura come “Stefano Frachetta alias Callegarollo” [2]: questo non autorizza però a ritenere che continuasse ad esercitare l’arte di calzolaio (calegarius, dialett.). Il soprannome “Calegarollo” o “Calegari” era infatti a tal punto usato a Rovigo nel corso del ‘500 per indicare i Frachetta, che in alcuni documenti, specie negli atti parrocchiali, sostituiva addirittura il loro cognome [3].
La famiglia di F. doveva in ogni caso essere di civili condizioni, come attestano la presenza di servitori e soprattutto il fatto che, nonostante la morte prematura del padre, sia F. che il fratello Lodovico (1559-1639) poterono completare gli studi universitari. Proprio dal testamento di quest’ultimo – dottore in teologia, abate olivetano, autorevole ecclesiastico e vicario generale della diocesi di Adria (e Rovigo) dal 1620 al 1639 – conosciamo i beni familiari che ancora restavano al momento della morte della madre nel 1601: la casa paterna in contrada S. Giustina e confinante con la chiesa di S. Maria dei Battuti (o della Fraglia) e le “terre del Casale fondate nel borgo di S. Giovanni” [4]. Possedimenti non certo rilevanti, che però Lodovico tornerà ad incrementare in maniera consistente. Oltre a lui, F. ebbe quantomeno altri due fratelli, entrambi morti in giovane età: Giovan Battista, forse primogenito, e Giovan Francesco, battezzato il 16 ottobre 1566 [5].
A Rovigo, dove rimase sino all’adolescenza, seguì presso la scuola pubblica l’insegnamento in “lettere umane” di Antonio Riccoboni almeno sino al 1571, quando questi, dopo essere stato coinvolto senza eccessivi danni nei processi per eresia legati alla chiusura dell’accademia degli Addormentati, si addottorò a Padova e vi si trasferì come lettore dello Studio [6]. Tali processi segnarono la prima adolescenza di F. non solo per il coinvolgimento di Riccoboni, che fu indotto ad abiurare e a trasformarsi in accusatore degli accademici già suoi compagni, ma per il ruolo centrale che vi ebbe un cugino paterno, il domenicano Pietro Martire Frachetta, inquisitore della diocesi di Adria e sicuro punto di riferimento per i propri familiari [7].
Nella città natale F. dovette frequentare anche Giovanni Bonifacio, di un decennio più vecchio di lui, col quale rimase sempre in contatto e col quale ebbe in comune una sterile passione verso la poesia. Lo stesso F. ricorderà infatti di aver scritto versi negli anni giovanili ed è molto verosimile che fossero proprio suoi i madrigali attaccati nella primavera del 1577 con veemenza polemica da Luigi Groto per le loro carenze “in concetti e in lingua” [8]. Ciò avveniva quando F., probabilmente già studente a Padova, doveva essere rientrato in patria a causa della tremenda pestilenza che bloccò a lungo l’attività dello Studio.
Affascinato dall’insegnamento di Riccoboni si iscrisse alla facoltà di arti dello Studio patavino, quantunque la sua decisione di dedicarsi agli studi “liberali e filosofici” fosse stata osteggiata dal padre e dai parenti che avevano forse programmato per lui una laurea in leggi ben altrimenti funzionale alle loro aspettative. In ogni caso partì per Padova “quasi ancora fanciullo”, ma dopo la morte del padre [9].
Grazie anche ai legami stabiliti, per il tramite di Vincenzo Querini, col raffinato e colto nobile veneziano Alvise Lollino (il futuro vescovo di Belluno), poté frequentare i più elitari sodalizi culturali patavini – compresa forse l’accademia degli Animosi pervasa da significativi fermenti ermetici e neoplatonici – e poté entrare nella stretta cerchia degli allievi privati di Francesco Piccolomini [10]. Da quest’ultimo assimilò un aristotelismo platonizzante e soprattutto una concezione della politica guidata dai princìpi etici e dal sommo bene (ma anche dai dettami tridentini), che finiva col fondarsi sulla prudenza e col tradursi in una serie di massime di buon governo [11].
L’insegnamento di Piccolomini peserà su gran parte della produzione di F. e non solo sul suo primo scritto: il Dialogo del furore poetico composto verosimilmente nel 1579 e pubblicato nel 1581 (Padova, L. Pasquati) a coronamento degli studi universitari. Un’operetta ancora acerba, stesa in un italiano non certo forbito, nella quale tuttavia F. riponeva le proprie ambizioni filosofiche e letterarie, come precisava ingenuamente nell’ampia dedica indirizzata a Lollino. Vi era ricostruita una disputa, forse da F. realmente sostenuta, con tre compagni di studio (Giovan Battista Pona e Luigi Prato, entrambi veronesi, e Prospero Bernardo di Montagnana), nell’intento sia di definire che cosa fosse il furore poetico per Platone (e per Aristotele), sia di spiegare come esso fosse compatibile con la concezione platonica della poesia (in particolare là dove Platone “cacciava” alcuni poeti dal “suo comune”): una prospettiva alquanto differente rispetto a quella del Discorso sulla diversità dei furori poetici di Francesco Patrizi (1553), che però F. mostrava di conoscere bene [12].
Il 15 luglio 1581 F. superò l’esame dottorale in arti (non in diritto come vorrebbe qualche suo occasionale biografo), nel quale non a caso Piccolomini fu suo primo promotore di laurea [13]. Terminava così il soggiorno patavino e con esso i fervidi progetti di studio “ocioso” di una filosofia disvelatrice “delle cagioni delle cose” [14]; lo aspettava una realtà ben altrimenti prosaica e dura: quella della curia romana e delle insidiose corti di potentati. Pochi mesi più tardi si era infatti trasferito a Roma, dove nel 1582 entrò al servizio del card. Luigi d’Este, restandovi sino alla morte di questi nel 1586.
***
Nel 1583, per mettersi in mostra e dare prova della propria preparazione filosofica, pubblicava De universo assertiones octingentae (Roma, B. Bonfadino e T. Diano), un’enciclopedica raccolta di tesi (gran parte delle quali abbastanza argomentate) sull’universo incorporeo e corporeo, che difese poi in giugno nel corso di una pubblica disputa in S. Maria sopra Minerva. Traspariva dall’opera una buona conoscenza del mondo classico, ma soprattutto una pericolosa dimestichezza con le dottrine platoniche, neoplatoniche, ermetiche e cabalistiche (oltre ovviamente a quelle di Aristotele, “sommo tra tutti i filosofi”, e a quelle dei “teologi”), al punto che, nonostante la dedica al card. d’Este, la censura calò pesantemente su ben 112 delle 800 tesi, relative rispettivamente all’immortalità dell’anima intellettiva, alla cabala e ai Çnomi di DioÈ.
L’incidente dovette indurlo a maggior prudenza e a coltivare prevalentemente più innocui interessi letterari. Nel 1585 pubblicava infatti a Venezia (Gioliti) La spositione sopra la canzone di Guido Cavalcanti: Donna mi prega etc., frutto anche dei contatti avuti con numerosi letterati in casa del card. d’Este, come precisava nella dedica al card. Scipione Gonzaga. Il commento, che naturalmente non nascondeva ambizioni filosofiche, metteva in mostra una buona conoscenza della letteratura italiana, specie dei grandi toscani, ma faceva parimenti cogliere come F. fosse ben informato sulle novità culturali e letterarie della Roma del tempo [15]. I continui riferimenti ad Aristotele, nonostante la tematica tipicamente platonica, ci dicono che F. aveva ormai messo da parte gli entusiasmi giovanili e aveva rapidamente appreso a muoversi con abilità nell’insidioso ambiente romano.
Un mutamento che si faceva ancor più marcato nell’opera successiva, Breve spositione di tutta l’opera di Lucrezio (Venezia, P. Paganini, 1589), che riproduceva sei ampie lezioni tenute nell’accademia letteraria del card. d’Este, nelle quali F. riassumeva e commentava gran parte dei versi contenuti nei sei libri del De rerum natura di Lucrezio, con l’intento di mostrare dove erano conformi o lontani dalla “verità” e soprattutto “dalla dottrina del sovrano maestro Aristotele”. L’opera si chiudeva poi con sette brevi “discorsi” nei quali veniva commentata l’invocazione a Venere inserita nel Proemio del poema lucreziano. La dedica al card. Gonzaga era datata da Rovigo il 1deg. gennaio 1589 [16] a conferma del fatto che F. doveva aver seguito la stampa del volume a Venezia e che ne aveva approfittato per un breve soggiorno in patria, con la quale continuava a conservare profondi legami affettivi e culturali.
Nel frattempo, con la morte del card. d’Este (1586), F. era diventato segretario del card. Gonzaga, che già da un anno si avvaleva dei suoi servigi e che, durante le proprie assenze da Roma, si faceva addirittura rappresentare da lui come agente [17.] In tal modo aveva quindi raggiunto una posizione di relativo prestigio, tenuto anche conto dell’importanza del card. Gonzaga durante il pontificato di Sisto V e della sua attività mecenatizia nei confronti di illustri letterati. La situazione sarebbe però ben presto mutata: lasciato in disparte da Gregorio XIV, Innocenzo IX e Clemente VIII, il card. abbandonò Roma nel giugno 1592 per tornare in patria a S. Martino dell’Argine, dove morì l’anno successivo.
Mentre era alla ricerca di una nuova sistemazione e di un nuovo protettore, F. continuò ad occuparsi di alcuni affari lasciati in sospeso dal card. Gonzaga e soprattutto ad informare sia lui sia il suo maggiordomo Giorgio Alario sugli avvenimenti romani e in particolare su quelli francesi ormai da tempo al centro della propria attenzione: lo attestano tre lettere di F. ad Alario (luglio-agosto 1592), autografe ma con la firma strappata o cancellata, conseguenza forse delle sue successive disavventure con la giustizia pontificia [18.]
Più che mai intenzionato a farsi strada nella curia romana, F. non aveva tardato a procurarsi nuove opportunità e a coltivare potenti amicizie. In data imprecisata, ma anteriore alla metà degli anni ’90, aveva intanto assunto gli ordini minori [19]; nel 1589 aveva inoltre deciso di mutare radicalmente l’ambito dei propri studi, dedicandosi ad argomenti politici: una risoluzione che fu assunta, come ricorderà egli stesso [20], in concomitanza con quella di porsi al servizio della Spagna, ma verosimilmente anche sull’onda dei timori generati dal precipitare degli avvenimenti francesi, che sembravano spianare l’ascesa al trono all’ugonotto Enrico di Navarra. La sua posizione fu ovviamente subito favorevole alla Lega cattolica e allo stretto collegamento di questa con Madrid, come attestano alcuni suoi discorsi inediti, dedicati proprio alle vicende francesi.
Già a partire dal 1585 aveva intrapreso la rischiosa attività di informatore attraverso relazioni e discorsi manoscritti, che in breve tempo diventeranno sempre meno episodici e assumeranno una connotazione maggiormente politica. Il primo tra quelli pervenutici – complessivamente un centinaio, molti dei quali anonimi per ovvi motivi di prudenza e conservati in numerose copie, a conferma di una vasta circolazione italiana ed europea – era uno dei diffusi pronostici Sopra il futuro papa ed era stato scritto durante la sede vacante dopo la morte di Gregorio XIII (1585) con una sicura conoscenza dei componenti del collegio cardinalizio e degli intrighi di curia [21]. Seguiva (6 giugno 1586) un’allocuzione volta a dimostrare la legittimità e l’opportunità dell’Impresa d’Inghilterra da farsi per il re cattolico [22]; mentre della fine del 1590 era una Difesa della designazione dei cardinali degni del trono pontificio fatta dal re cattolico e giustificata da F. come atto volto ad “assicurare” la Chiesa e la cristianità dal pericolo del Navarra [23].
Gli altri discorsi degli anni 1589-93 furono invece tutti dedicati in maniera significativa alla situazione francese, in un crescendo che vide F. sempre più schierato a favore della Lega cattolica e del suo capo, il duca di Mayenne [24]. Stabilì anzi rapporti particolarmente stretti col segretario di questi, Thibault Desportes, che fu a Roma per due brevi missioni presso il pontefice nel 1590-91 e nel 1592-93, al termine delle quali lo nominò proprio agente in curia e soprattutto lo convinse ad assumere il delicato ruolo di informatore e uomo di fiducia del Mayenne. Questi lo ricompensò con la nomina a responsabile dei servizi postali francesi a Roma: un incarico che gli garantiva la conoscenza immediata delle notizie d’oltralpe, almeno quelle di parte leghista, ma che gli imponeva nel contempo di agire su personaggi autorevoli e sull’opinione pubblica nell’intento di diffondere e sostenere i disegni politici del capo della Lega [25].
Del resto F. si era già da tempo schierato con fermezza, giungendo molto verosimilmente nei primi mesi del 1590 a censurare in qualche modo il comportamento favorevole al Navarra assunto da Sisto V. Sul finire del pontificato di questi (quando il papa si scontrò duramente con Filippo II e col suo ambasciatore a Roma, il duca di Olivares) F. fu infatti in pericolo di vita per ÇcontroversieÈ sulla Francia e fu costretto a rifugiarsi in Monferrato al seguito del card. Gonzaga, che vi ricoprì per breve tempo la carica di governatore [26].
Proprio da Casale Monferrato inviò nel 1590 al signore del luogo, Vincenzo I duca di Mantova, il manoscritto della sua prima opera politica L’idea del libro de’ governi di Stato et di guerra. Rielaborata e con l’aggiunta di due discorsi rispettivamente Sulla ragion di Stato e Sulla ragion di guerra, l’Idea verrà poi pubblicata nel 1592 (Venezia, D. Zenaro), con una dedica sbrigativa (ma ormai obbligata) al duca di Mantova e Monferrato, destinatario originario dell’opera, anche se F. stava stringendo legami ben più fruttuosi e decisivi col nuovo ambasciatore spagnolo a Roma, il duca di Sessa.
Nel breve Discorso sulla ragion di Stato, il primo scritto a stampa sull’argomento dopo il trattato di Botero del 1589, F. polemizzava scopertamente con quest’ultimo, definendo e distinguendo la “vera” ragion di Stato – una perizia acquisita con la lettura dei classici e con l’esperienza, che identificava con la Çprudenza civileÈ congiunta con le virtù morali e la religione – dalla ÇfalsaÈ, che era quella di Machiavelli e che stava imperversando nel Çbel regno di FranciaÈ.
Più interessante l’Idea, vale a dire l’esemplificazione del trattato ancora incompiuto, al quale stava lavorando da “alcuni anni” (Il seminario de’ governi di Stato et di guerra), che avrebbe dovuto consistere in una raccolta di 3.000 massime sull’universo politico e militare, tratte prevalentemente da autori classici (soprattutto da Tacito), ma anche dai “moderni” Commynes, Guicciardini e Du Bellay: ne anticipava 124 (una per ciascuno dei “cap”È progettati), facendole precedere da una presentazione e dallo schema dell’opera. Una sorta di enciclopedia con ambizioni esaustive, dalla quale i prìncipi e i loro ministri avrebbero potuto finalmente trarre “tutte le materie utili per ben governarsi”, ma anche un progetto che rimandava all’impianto teorico delle 800 tesi filosofiche pubblicate e discusse nel 1583.
Nel febbraio 1593 Giorgio Alario attestava che F. era ben conosciuto da tutto il collegio cardinalizio e molto apprezzato dal duca di Sessa [27]; nell’agosto dello stesso anno gli faceva eco Giovanni Bonifacio, che ribadiva la notorietà di F. a Venezia mentre cercava di convincerlo, senza successo, ad aderire alla nuova Accademia veneziana [28]. Tuttavia, proprio in quei mesi F., che era entrato in stretti rapporti col card. Sauli e forse era già al suo servizio, mise in serio pericolo questa sua posizione con una scelta decisamente poco prudente, ma perfettamente in linea con le sue convinzioni politiche e religiose.
Nel settembre 1593, reputando rovinosa per la causa della Lega cattolica e per la cristianità l’interessata avversione di Mayenne alla proposta spagnola di nominare sovrani di Francia il duca di Guisa e l’Infanta Isabella (l’unica soluzione a suo avviso in grado di sbarrare la strada all’eretico Navarra e di portare un vero cattolico sul trono francese), F. consegnò, per il tramite del card. Sauli, la propria corrispondenza con Mayenne e con Desportes all’ambasciatore spagnolo in Roma. Questi si affrettò a trasmetterla a Madrid con le doverose cautele, vale a dire in cifra e senza alcun riferimento esplicito a F., sempre indicato prudentemente come “el amigo” di Desportes [29.]
Contribuendo in tal modo a rivelare le reali intenzioni del capo della Lega cattolica, F. aveva acquisito notevoli benemerenze presso gli spagnoli, ma si era parimenti guadagnato feroci inimicizie a Parigi e soprattutto a Roma, dove il suo gesto, divenuto ben presto noto, mise nuovamente a repentaglio la sua vita e gli creò rilevanti problemi per il suo lavoro. Nell’estate 1594, non a caso, divenne infatti bersaglio di un falso tanto beffardo quanto eloquente: una lettera che F. avrebbe scritto da Parigi a Botero il 22 marzo 1594, proprio il giorno dell’ingresso di Enrico IV nella capitale francese, e firmata “o el Fracchetta”, scimmiottando cioè la firma del re di Spagna [30].
Già il 13 aprile 1594 l’ambasciatore a Roma del duca di Ferrara, Girolamo Gilioli, forniva una conferma dell’isolamento e delle difficoltà economiche di F. (ben noto negli ambienti di curia, “però di poca fortuna”), raccomandandolo al proprio signore perché se ne servisse come informatore, mettendo così a frutto la sua straordinaria dimestichezza con molti cardinali e soprattutto la sua conoscenza degli avvenimenti francesi[31.] In realtà dal dicembre 1593 F. aveva consegnato regolarmente avvisi e copie di documenti sulla Francia (comprese due lettere di Desportes) al Gilioli, che li allegò ai propri dispacci. Dall’aprile 1594 questa sua attività di informatore sulle vicende francesi diventerà particolarmente assidua (F. scriverà sempre di proprio pugno spingendosi nei primi mesi addirittura a firmare temerariamente gli avvisi) e continuerà sino al 1597, anche se si farà sempre più rada e frettolosa negli ultimi due anni [32].
Nell’estate del 1594 aveva intanto terminato i suoi Commentari delle cose successe nel regno di Francia, che prendevano le mosse dalla ricostituzione della Lega cattolica nel 1585 e che in una prima versione si arrestavano all’ingresso di Enrico IV in Parigi. In seguito progressivamente continuata sino agli avvenimenti del 1598 – ma rimasta inedita per i giudizi sull’eretico Enrico di Navarra divenuto nel frattempo re di Francia e ribenedetto dal papa – l’agile operetta dal taglio essenzialmente cronachistico confermava con quanta attenzione F. seguisse i fatti d’oltralpe [33.]. Le numerose copie manoscritte pervenuteci permettono di seguire le varie fasi della sua stesura e attestano anche una singolare fortuna goduta tra i contemporanei[34.]
Ormai l’attenzione di F. era stata però catturata dalla guerra contro il Turco, alla quale dedicherà per un quinquennio a partire dal marzo 1594 quasi tutti i suoi discorsi politici e militari: il primo di essi venne inviato in copia il 16 aprile contemporaneamente alle corti di Torino e di Ferrara rispettivamente da Anastasio Germonio e dal Gilioli [35.] Sullo stesso argomento pubblicherà tra il 1595 e il 1597 quattro orazioni a Sigismondo Bathori principe di Transilvania (le prime tre saranno ripubblicate congiuntamente a Verona nel 1596) e una a Filippo II [36].
Nel settembre 1597 la sua notorietà come esperto del più temibile avversario della cristianità la attestava ancora una volta un falso; F. era infatti costretto a dare alle stampe una Lettera al s.or Antonio Riccobuono per ricusare un resoconto “falsamente appostogli”: si trattava del Ragguaglio delle meravigliose pompe con le quali Mehemet Settergi […] è uscito di Costantinopoli per guidare il proprio esercito alla guerra d’Ungheria, pubblicato sotto il nome di F. per l’appunto nell’agosto [37]. La Lettera a Riccoboni attestava tuttavia come ormai F. fosse stabilmente e con piena soddisfazione al servizio degli spagnoli.
Nel 1594-95 era stata infatti avviata, con l’appoggio del duca di Sessa, la complessa e lenta procedura per fargli ottenere pensioni stabili dalla Spagna, motivate soprattutto dal comportamento tenuto da F. nei confronti di Mayenne, oltre che dai suoi contatti con la Francia e dalla sua preziosa opera di informatore prestata in Roma: lo attestano sia la corrispondenza tra Roma e Madrid a partire dal maggio 1595, sia soprattutto le ripetute consulte del Consiglio di Stato spagnolo favorevoli a F. dal febbraio 1596[38.]
Il 28 maggio 1597 gli fu finalmente concessa una pensione di 200 ducati annui sopra la mensa vescovile di Cassano Ionio in Calabria [39]; il breve di investitura papale del 3 settembre attestava che F. era chierico e che veniva autorizzato a continuare ad indossare l’abito secolare [40.] Sessa continuerà tuttavia ad insistere perché al suo protetto fosse concessa una seconda pensione in Roma; in effetti F. si era pienamente guadagnato la stima dell’ambasciatore spagnolo, che lo trattava ormai alla stregua di proprio consigliere politico.
Nel novembre 1596 gli commissionò addirittura un’opera sull’azione di governo del sovrano e sulla sua effettiva conoscenza dei problemi del suo Stato. Nasceva così Il prencipe, scritto in soli sette mesi – come precisava l’ampia dedica al Sessa – e pubblicato a Roma (B. Beccari) sul finire del 1597. F. vi riproduceva lo schema già proposto nell’Idea del Seminario de’ governi, dividendo il trattato in due libri, dedicati rispettivamente al “governo dello Stato” e al “maneggio della guerra”, e contrapponendosi in maniera scoperta, sin dalle prime battute, a Machiavelli con un modello di principe prudente, guidato dal bene comune e dall’utile coniugato con l’onesto, ma sempre nel pieno ossequio della morale e della religione. L’opera, nella quale era ribadita la concordia tra le teorie di Platone e quelle di Aristotele, consacrò F. come scrittore politico di prestigio agli occhi degli spagnoli e dei loro sostenitori: del resto tutte le sue pubblicazioni successive saranno dedicate a ministri del re di Spagna.
Nel 1599 fu stampata a Venezia (G.B. Ciotti) una seconda edizione riveduta e ampliata del Principe; ma nel frattempo F. aveva dato alle stampe Il primo libro delle orazioni nel genere deliberativo (Roma, B. Beccari, 1598), dedicandolo a Juan de Idinquez: una raccolta di 11 orazioni (comprese le 5 a Bathori e a Filippo II già edite) indirizzate, a partire dal 1595, a diversi prìncipi per esortarli alla guerra contro il Turco, ognuna delle quali era introdotta da un inquadramento storico.
Nel 1600, col titolo Il primo libro dei discorsi di stato et di guerra (Roma, B. Beccari), pubblicava poi 10 discorsi scritti negli anni 1594-99 sulla guerra turca, facendoli precedere da quello del 1586 sull’impresa d’Inghilterra. L’opera era dedicata (Roma, 31 gennaio 1600) al viceré di Napoli Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos (che F. elogiava per aver stroncato la rivolta calabrese di Tommaso Campanella, peraltro non citato), ed era completata da un’appendice di tre orazioni “nel genere deliberativo” (due sul Turco e una sull’Inghilterra) con dedica ad Alonso Manrique de Lara [41].
Il 20 dicembre 1600 F. poteva scrivere a Francesco Maria II duca d’Urbino di aver superato una grave e lunga indisposizione [42]. Il 13 dicembre 1601 gli veniva finalmente concessa una nuova pensione annua di 200 scudi sulle spese dell’ambasciata di Spagna a Roma [43.] Aveva così raggiunto una posizione invidiabile: godeva di ampio prestigio all’interno della potente fazione spagnola e viveva agiatamente con un servitore (il rodigino Maurizio Milani) in un appartamento posto nel palazzo del card. Sauli, che provvedeva anche ai suoi alimenti.
Nel novembre 1603, in sostituzione del prudente duca di Sessa, giunse però a Roma come ambasciatore spagnolo il focoso Juan Fern‡ndez Pacheco, marchese di Villena e duca di Escalona, che, con ostinati puntigli, si rese immediatamente responsabile di infrazioni all’etichetta di corte e causò numerosi incidenti con nobili, prelati e cardinali, mettendo a repentaglio le sorti del partito filospagnolo [44]. Per evitargli ulteriori errori, F. si affrettò a consegnargli una relazione riservata sui singoli cardinali, dei quali ricostruiva la carriera ecclesiastica, gli incarichi più importanti ricoperti, le protezioni di cui godevano, la preparazione culturale, i costumi, la tendenza politica, la rendita e le pensioni che ricevevano dalla Spagna. L’inopinata diffusione dell’incauta relazione (che circolò insieme con un’altra anonima ancor più spregiudicata, erroneamente attribuita a F., e con una Risposta di Villena) determinò la reazione dei cardinali filofrancesi e del papa, che decise di intervenire con mano pesante come monito sia per gli informatori (la cui attività era rigorosamente proibita, quantunque estremamente diffusa), sia per gli spagnoli, dei quali non intendeva più tollerare l’incontrastato predominio e le prepotenze [45].
Fu immediatamente spiccato un ordine di cattura nei confronti di F., la cui abitazione fu perquisita il 31 gennaio 1604 senza successo; tempestivamente avvisato, egli era infatti fuggito in tutta fretta nel regno di Napoli, lasciando a Roma gran parte dei propri averi e molte scritture, tutte sequestrate dal magistrato romano, ma non più conservate tra le carte di questi[46.] Il procedimento giudiziario si interruppe con la fuga di F., che venne però messo al bando dallo Stato pontificio: un duro provvedimento che i numerosi interventi in suo favore, ripetuti per oltre un decennio e presso ben tre pontefici da parte degli spagnoli e del duca d’Urbino, non riusciranno a rimuovere. In tal modo F. vedeva completamente pregiudicata la carriera di curia ormai spianata davanti a lui, insieme con i privilegi e i contatti pazientemente tessuti con i più disparati ambienti europei, soprattutto francesi: nel gennaio 1604 De Thou aveva fatto pervenire proprio a lui (per il tramite di Lazare Coquelei) uno dei due esemplari delle sue Historiae inviati in Italia ancora freschi di stampa (l’altro era per il card. Joyeuse), dopo che nell’autunno 1603 gli aveva indirizzato il giovane Christophe Dupuy, perché lo guidasse nei meandri della curia romana [47.]
***
A Napoli – dove fu inizialmente nascosto nel castel dell’Ovo per sottrarlo alle mire del nunzio pontificio – F. ottenne ben presto, grazie a precise disposizioni del re di Spagna, ulteriori vantaggi economici (altri 400 ducati annui) che si aggiunsero alle pensioni già assegnategli a Roma [48]. Eppure, malgrado gli ordini impartiti dal Re per una sua immediata utilizzazione soprattutto in incarichi di governo, F. aveva ormai irrimediabilmente perduto il prestigio e il ruolo goduti a Roma, dove peraltro sperava ancora di poter tornare [49]. E questo, nonostante la sua rinnovata lena di informatore degli spagnoli tramite relazioni sui maggiori avvenimenti europei, che si affrettava a spedire in Spagna [50.]
La sua vena di ÇteoricoÈ politico sembrava inoltre sopraffatta dagli eventi. L’unica opera a stampa di questo periodo fu la traduzione italiana degli inediti Commentari delle cose successe in Frisia scritti dal comandante e governatore spagnolo Francisco Verdugo; F. vi premise una biografia di Verdugo e dedicò l’opera al viceré Juan Alfonso Pimentel de Herrera, conte di Benavente [51].
Le richieste presentate in suo favore al Consiglio di Stato spagnolo avevano ottenuto esito positivo[52]; tuttavia (forse non ritenendosi adeguatamente utilizzato dal viceré negli affari di governo in conformità con le disposizioni impartite da Filippo III) F. decise di recarsi a Madrid, verosimilmente con l’intento di perorare la propria causa e di produrre l’ultimo sforzo per poter tornare a Roma.
Il 14 maggio 1607 annunciava al duca d’Urbino la sua prossima partenza al seguito del duca di Feria e, dopo una sosta a Barcellona, alla fine di agosto giunse a Madrid, dove per qualche tempo fu costretto a letto da un attacco di febbre quartana [53.] L’8 novembre il Consiglio di Stato, in considerazione dei suoi meriti come servitore della Spagna, decideva di elevare a 600 i ducati di pensione annua già assegnatigli a Napoli: un trattamento di rilievo, che peraltro, con un’ulteriore delibera del 15 dicembre, veniva fatto decorrere dalla partenza di F. da Napoli e soprattutto si aggiungeva alle già consistenti pensioni romane [54.] Il viaggio a corte sortì quindi gli effetti sperati, anche perché F. ottenne un nuovo intervento di Filippo III presso il papa, con l’obiettivo di sanare le proprie pendenze con la giustizia romana [55].
Il 16 marzo 1608 F. partiva alla volta dell’Italia, ma ancora una volta senza la possibilità di entrare nello Stato pontificio. L’ormai inevitabile visita al duca d’Urbino, col quale aveva intrattenuto contatti epistolari sempre più frequenti e al quale era ormai solito inviare copia dei suoi discorsi politici e militari, avveniva infatti dopo un difficile viaggio per mare che lo fece approdare a Pesaro l’11 agosto duramente provato [56].
All’inizio di ottobre era già a Napoli più che mai convinto che il breve pontificio di liberazione fosse ormai a portata di mano. Incomprensioni e resistenze sorte all’interno dell’ambasciata spagnola a Roma, dove un suo eventuale ritorno era temuto e fieramente avversato, consigliarono però a F. di desistere definitivamente dal suo obiettivo (febbraio 1610) [57].
Nell’agosto 1609 aveva del resto accettato la carica di agente del duca di Urbino a Napoli, dove aveva quindi deciso di ricostruire la propria esistenza [58]; le sue scelte furono forse condizionate anche dall’ormai prossimo arrivo di un viceré che sapeva ben disposto nei suoi confronti, il conte di Lemos, e in particolare dal segretario di questi, Lupercio Leonardo de Argensola, col quale era entrato in amicizia a Madrid.
Nel 1609 aveva ripreso di buona lena a lavorare alla stesura del Seminario de’ governi di Stato et di guerra, sospendendo quasi completamente la propria attività di informatore e di autore di discorsi politici: il 16 gennaio 1610 poteva così annunciare al duca d’Urbino che metà dell’opera era ormai terminata [59]. L’ampio trattato enciclopedico sarà ultimato due anni più tardi e stampato a Venezia dai torchi di Evangelista Deuchino nell’ottobre 1613 [60].
Le massime erano ormai diventate 8.000, frutto di un minuzioso lavoro di accumulazione teso ad investire ogni aspetto della vita politica e militare; esse erano state suddivise per argomento in 110 capi, ciascuno dei quali si chiudeva con un ampio discorso. La letteratura tacitiana e quella sulla ragion di Stato vi trovavano una sistemazione decisamente articolata e soprattutto fortunata, a giudicare almeno dal successo editoriale dell’opera, che si propose come modello ben presto imitato [61.]
Nella dedica a Filippo III (Napoli, 1deg. settembre 1613) F. si sentì in dovere di scusarsi per non aver potuto terminare prima il suo lavoro già annunciato nel lontano 1592 con l’Idea e lo fece da consumato cortigiano attribuendone la colpa all’incidente romano, che di certo lo avrebbe sommerso se il re di Spagna non lo avesse aiutato e colmato di attenzioni. Il Seminario fu in ogni caso l’ultima opera da lui data alle stampe; del resto gli interessi filosofici e teorici di F. sembravano essersi esauriti se ancora il 15 dicembre 1610 auspicava di terminare la sua fatica prima di invecchiare per poter poi spendere qualche anno “in scriver istorie” [62].
Assorbito dall’attività di agente del duca d’Urbino, fu costretto a misurarsi con problemi per lui insoliti e non sempre fu all’altezza della situazione; del resto gli affari del duca nel regno di Napoli attraversavano un difficile momento. Nel 1610 fu infatti dichiarato insolvente e imprigionato per debiti Francesco Pallavicini, esattore delle entrate ducali nel regno, e F. ebbe un ruolo determinante (e non disinteressato) nella sua sostituzione con Giacomo Lagomarsino (segnalato dal card. Sauli), che non tarderà a dare pessima prova di sé.
Anche in conseguenza della rigorosa politica economica di Lemos, F. non riuscì a conservare al duca alcuni privilegi o a incassare pagamenti per i quali lo stesso viceré gli aveva ripetutamente fornito assicurazioni; in compenso continuò ad informare minuziosamente Francesco Maria II coi suoi dispacci e a inviargli copia dei discorsi che aveva ripreso a scrivere. Pur con crescente insoddisfazione, specie nei mesi che precedettero e seguirono la partenza del Lemos (giugno 1616), il duca continuò a conservargli l’incarico, almeno sino a quando l’insolvenza del Lagomarsino (che pure F. continuava a difendere con determinazione) fu ormai chiara e l’arrivo del duca di Ossuna come successore di Lemos relegò F. sempre più in disparte.
Già nel 1610-11 Ossuna si era trattenuto a Napoli prima di passare al governo di Sicilia e F. aveva avuto modo di stigmatizzare a più riprese le sua bravate e i suoi modi da “soldataccio di Fiandra”, scrivendone forse anche a Madrid [63]. Quando il 30 luglio 1616 Ossuna vi tornò come viceré, fu subito chiaro che F. avrebbe pagato la sua imprudenza. Ben lo capì il duca d’Urbino, che il 23 dicembre 1616 sostituì F. come proprio agente, continuando però ad indirizzargli espressioni non formali di stima e disponibilità; questo almeno sino alla primavera del 1617, quando iniziò a prendere con decisione le distanze nei suoi confronti: l’arresto del Lagomarsino per debiti e la scoperta che questi aveva compensato F. con 600 ducati per avergli procurato l’incarico di esattore avevano del resto contribuito a screditarlo ulteriormente agli occhi del suo protettore [64].
All’inizio del 1617 usciva una nuova edizione del Seminario riveduta e corretta da F., sempre a Venezia presso Evangelista Deuchino [65]. Nell’estate dello stesso anno, mentre cercava di sfuggire alla calura “sul colle di Posillipo”, pose nuovamente mano alle opere giovanili – il Dialogo del furore poetico, De universo, l’Idea e le Sposizioni della canzone di Cavalcanti e dell’opera di Lucrezio – che corresse e ampliò in vista di una nuova edizione in un unico volume da dedicare all’amico Giovanni Bonifacio [66.] Per quanto il lavoro fosse completamente ultimato e molto verosimilmente inviato allo stesso Bonifacio, la pubblicazione non ebbe luogo, forse anche per l’incalzare degli avvenimenti.
Il 20 giugno 1617 il fratello Lodovico gli cedeva il beneficio di S. Maria Oliveto nel regno di Napoli, chiara conferma delle crescenti ristrettezze economiche di F., dovute probabilmente anche al mancato pagamento delle pensioni spagnole (nel documento F. figurava ancora come “clericus Rhodigii”) [67;] ormai però il cerchio attorno a lui si stringeva in maniera inesorabile. Dopo che il 23 aprile 1617 gli aveva fatto seccamente capire di non voler essere più informato da lui sui maneggi di Ossuna contro Venezia, il duca evitò di intervenire presso il viceré in favore di F., che gli chiedeva di essere autorizzato a lasciare Napoli per mettersi al riparo ad Urbino. Francesco Maria II non intendeva infatti inimicarsi il rancoroso viceré, nei confronti del quale riteneva che F. avesse ecceduto “con la lingua e con la penna” [68].
Il 16 settembre 1618 il duca d’Urbino gli scriveva un asciutto biglietto per informarlo di aver ottenuto da Madrid l’ordine cavalleresco di Calatrava per Fabio Frezza, molto legato a F. che si era atteggiato a suo maestro e protettore [69]. La missiva non poté però essere recapitata perché F. era da qualche giorno rinchiuso nel più assoluto isolamento nelle carceri del castel dell’Ovo, senza che se ne conoscesse il motivo. Il 16 novembre, il nuovo agente napoletano del duca d’Urbino, Orazio Billi, elencava la ridda di voci sulle sue possibili colpe, alimentate dal fatto che non era stato istruito alcun procedimento formale: vizio contro natura, stesura di ragguagli contro gli spagnoli, invio di relazioni ai veneziani (F. era originario della terraferma veneziana) e ad altri prìncipi sui maneggi del viceré; anche se le voci più insistenti parlavano di una relazione su Ossuna mandata da F. a Lemos e subito rimbalzata a Napoli dopo essere stata vista nella corte spagnola. Ormai abbandonato da tutti, F. poteva far affidamento solo su Frezza, che però stava ritirato per il medesimo sospetto, come scriveva l’agente di Urbino [70].
Restò in carcere sino all’agosto 1619, quando fu liberato per disposizione del viceré, senza che gli fossero mosse accuse o aperto un processo contro di lui [71]. Duramente provato, povero e ammalato F. morì dopo qualche mese. Il suo testamento, purtroppo non pervenutoci, fu rogato, quanto meno nell’ultima stesura, dal notaio napoletano Giovanni Francesco Mariconda in data 30 dicembre 1619, forse il giorno della sua morte [72].
L’11 gennaio 1620 un avviso da Roma confermava al duca d’Urbino la notizia della sua morte, già arrivata da Napoli da qualche giorno, precisando che si trattava di Çpersona nota ed eruditaÈ ed elencando con ammirazione le sue consistenti pensioni spagnole [73]. Di certo l’estensore dell’avviso non era al corrente delle ultime vicende di F., dei suoi rapporti col duca e di come fosse stato mal ripagato proprio da un ministro di quella Spagna che aveva servito con tanta devozione.
Solo nella lontana Rovigo, il fratello Lodovico poteva esaltare – con una solenne iscrizione latina posta nella chiesa di S. Maria dei Battuti – le sue doti di studioso e di consigliere politico dei massimi potentati del tempo, e lo faceva precisando che era morto a Napoli nel 1619 all’età di 61 anni[74].
Fonti e bibliografia
Con l’unica eccezione del Dialogo, riprodotto in edizione anastatica (München, Fink, 1969), le opere di F. possono essere lette solo nelle edizioni originali o nelle ristampe secentesche. Gli esemplari delle opere giovanili (Dialogo, De universo, l’Idea e le due Spositioni sulla canzone di Cavalcanti e sul poema di Lucrezio) con correzioni e aggiunte autografe sono conservati a Rovigo nella Biblioteca dell’Accademia dei Concordi. Il Seminario, oltre alle edizioni del 1613 e 1617, ebbe un’edizione “rivista” dall’A. nel 1624, pubblicata sempre dallo stesso editore (Venezia, E. Deuchino); insieme col Prencipe (ma con frontespizio e numerazione autonomi) fu poi ristampato nel 1647 (Venezia, Combi) e nel 1648 (Ginevra, S. Chou‘t; Parigi, G. Durand); copie invariate (forse invendute) dell’edizione di Chou‘t portano la data 1658. In alcuni esemplari di queste ristampe le due opere sono legate nello stesso volume, mentre in altri separatamente.
Il discorso del cap. IX del Seminario (“Sopra la religione del principe”), fu ripubblicato, in italiano e in traduzione latina con annotazioni, da Cyriacus Hardesheim in appendice alla sua Antiquitatum Puteolanarum (…) synopsis, Francofurti, F. Hartmannus, 1619. Una traduzione spagnola a stampa di parte del discorso sul cap. I del Seminario, con correzioni mss. che fanno pensare a bozze, è nella Bibliothèque nationale di Parigi (Rés. fol. Oa. 198bis, 94, pp. 3 n.n.). La traduzione francese dei due discorsi Sulla ragion di Stato e Sulla ragion di guerra è stata inserita (anonima) da Laurens Melliet, col titolo Curieux examen des raisons d’estat et de guerre, nella 2a edizione della sua traduzione di S. Ammirato (Discours politiques et militaires sur Corneille Tacite, Lyon, A. Chard, 1628). Il Prencipe fu tradotto in tedesco da George Marzi da Copenhagen con dichiarato intento antimachiavelliano (Festgesetzter Printzen- oder Regenten-Staat, Frankfurt, J.J. Erythropilus, 1681).
Una traduzione spagnola dell’Idea (e dei due discorsi sulla ragion di Stato e di guerra) è conservata ms. presso la Biblioteca Nacional di Madrid (Gayangos 470, 2); una traduzione spagnola ms. del Prencipe per opera di Juan Lòpez del Valle è nella Biblioteca della Real Academia de la Historia di Madrid (B. 73; 9/5158). Un ms. parziale del Seminario (Proemio, Indici preliminari e cap. I) con aggiunte autografe, forse un saggio dell’opera, è nella Biblioteca Nacional di Madrid (Ms. 1053, cc. 29 n.n.).
I Commentari di Francia ci sono pervenuti mss. in numerosi esemplari prevalentemente anonimi: Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbinati latini, 816, cc. 166r-260v; Archivio Segreto Vaticano, Armaria, I, vol. 20, cc. 257r-296r; Madrid, Biblioteca Nacional, Ms. 2886, cc. 1r-101r; Modena, Archivio di Stato, Ms. 47, cc. 1r-32v; Napoli, Biblioteca Nazionale, X.F.23, cc. 1r-43r; Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, Ms. XXII.D.12, pp. 255; Torino, Archivio di Stato, Biblioteca Antica, J.a.VIII.12 (6), cc. 34 n.n.; Torino, Biblioteca Reale, Varia, 347 (8), cc. 182r-246v.
Un’accurata ed elegante copia ms. dell’Idea – in tutto fedele al volume a stampa, compresi il frontespizio e i fregi, ma senza l’Errata e con gli errori ivi segnalati ancora presenti nel testo – è conservata nella UniversitŠtsbibliothek di Augusta (Cod. IV.4.6); il ms. porta lo stemma di Joseph von Hessen, vescovo di Augusta, che verosimilmente l’aveva ereditato insieme con la biblioteca del padre, già governatore di Mantova (al cui Duca l’opera era dedicata).
Numerose lettere autografe di F. al duca d’Urbino sono in: Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino I.G.128, cc. 445-446, 456-462 (9 lettere dal 25 dicembre 1597 al 21 dicembre 1602); ivi, I.G.182, cc. 1603-1607 (5 lettere dal 28 settembre 1607 al 15 marzo 1608); ivi, I.G.262, c. 799 (1 lettera dell’11 agosto 1608); ivi, I.G.215 (un’intera filza di lettere da Napoli, dal 12 febbraio 1604 al 13 dicembre 1619; parti di alcune di esse sono pubblicate in “Archivio storico italiano”, IX, 1846, pp. 222-229); Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms. 375, t. XI, c. 227r (1 lettera al duca d’Urbino del 10 febbraio 1606).
Altre lettere di F. a vari: Rovigo, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, Fondo Concordiano, 375-383 (1 lettera ad Alvise Lollino del 24 febbraio 1615 e 1 in copia s.d. a Giovanni Bonifacio, entrambe edite, con alcuni errori di trascrizione, in Dodici lettere d’illustri rodigini, Rovigo, 1845, pp. 23-26, 51-57); Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, 955 (3 lettere a Giorgio Alario, 18 luglio – 1deg. agosto 1592); Simancas, Archivo General, Estado, leg. 969 (1 lettera a Filippo II, 6 luglio 1597); Modena, Archivio di Stato, Letterati, b. 20 (1 lettera a Cesare d’Este, 1 febbraio 1617); ivi, Ambasciatori Roma, 152-156 (numerose lettere in forma d’avvisi allegate ai dispacci da Roma di Girolamo Gilioli dall’11 dicembre 1593 al 19 febbraio 1597); Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms. 1605 (5 lettere a Giulio Giordani dal 17 dicembre 1613 al 13 dicembre 1619).
F. Chabod, nelle “Appendici” al suo Giovanni Botero, Roma, 1934 (ora in Scritti sul Rinascimento, Torino, 1967, pp. 447-458), pubblica una lettera di F. a Botero (1594), in realtà falsa (cfr. A.E. Baldini, Le guerre di religione francesi nella trattatistica italiana della ragion di Stato: Botero e Frachetta, “Il Pensiero politico”, XXII, 1989, pp. 301-324).
Per motivi di spazio, non si possono qui elencare le numerose relazioni di F. pervenuteci mss. (un centinaio e molte in più copie). Per la maggior parte sono anonime; l’attribuzione è possibile grazie ad aggiunte e correzioni autografe di F. (alcune sono interamente autografe), ma anche grazie ad indicazioni fornite dalla sua corrispondenza e dagli indici secenteschi dei mss. della Biblioteca del duca d’Urbino (Archivio Segreto Vaticano, Borghese, IV, 177, cc. 77r-78v, 83), al quale F. era solito inviarle in copia. Per questo molte relazioni sono conservate nei Cod. Urbinati latini della Biblioteca Apostolica Vaticana (n. 821, III, cc. 252r-379v; n. 821, IV, cc. 403r-406v, 413r-422r, 426r-433v, 442r-446v, 451r-489v, 531r-570v; n. 854, I, cc. 225r-257v; n. 859, cc. 433r-439v, 453r-456r; n. 860, cc. 187r-160v, 192r-202v, 235r-238v, 276r-279v, 300r-306r; n. 861, cc. 91r-92r, 386r-414v, 424r-427r; n. 1028, II, cc. 433r-490r; n. 1492, cc. 47r-93v).
Altre relazioni sono in: Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottoboniani latini, 3140, I, cc. 209r-211v; ivi, Vaticani latini, 6558, II, cc. 193r-222r, 278r-288v; ivi, Vaticani latini, 6883, cc. 377r-378r; Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, I, 294, cc. 261r-267r; Madrid, Biblioteca Nacional, Ms. 1750, cc. 383r-387v; ivi, Ms. 11055, pp. 95-101 (traduzione spagnola); Milano, Biblioteca Nazionale, AE.XII.32, cc. 66r-68v (traduzione spagnola), 69v-73v; Modena, Archivio di Stato, Ambasciatori Roma 153, allegata al dispaccio del 16 aprile 1594; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms. 1748, vol. IV-II, cc. 177r-180r; ivi, vol. IV-III, cc. 199r-206r; ivi, vol. V-VIII, cc. 133r-138r; ivi, vol. VI-VII, cc. 286r-297r; ivi, vol. VII-X, cc. 213r-216v; ivi, vol. VIII-XXI, cc. 562r-565r; ivi, vol. VIII-XXII, cc. 566r-567r; Torino, Archivio di Stato, Lettere ministri Roma, 12, n. 73; Venezia, Biblioteca Nazionale, Ital., XI. 28, n. 23.
La relazione del 1603 sul collegio cardinalizio è conservata nei seguenti esemplari, alcuni dei quali anonimi e senza titolo: Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, Ital. Fol., 27 (d), cc. 89r-106v; ivi, Ital. Fol., 27 (f), cc. 153r-173v; Firenze, Bibl. Naz., Capponi, 81 (10), cc.10 n.n.; ivi, Magliabecchiano, cl. XXV, 103, cc. 397r-404v; Genova, Archivio storico comunale, Pallavicino, 388, cc. 36r-45r; Praga, Knihovna Nòrodniho Muzea, Nostitz, a 21, cc. 118r-137v; Roma, Archivio di Stato, Tribunale criminale del governatore, 34, cc. 986r-1002v; Torino, Archivio di Stato, Mongardino, 80, cc. 63r-81r; ivi, Mongardino, 80, cc. 93r-100v; Udine, Biblioteca comunale, 1109; Archivio Segreto Vaticano, Borghese, II, 452 a, cc. 104r-131v; Biblioteca Apostolica Vaticana, Capponiani, 179, cc. 1r-8r; ivi, Ferraioli, 771, cc. 32r-40r; ivi, Ottoboniani latini, 2689, cc. 113r-126r; ivi, Urbinati latini, 837, cc.380r-390r. Su di essi cfr. A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII cit., pp. 81-89. Per alcuni di tali esemplari (non sempre attribuiti a F. dagli studiosi) cfr. anche L. von Ranke, Die römischen Päpste in den letzen vier Jahrhunderten, Leipzig, 1907, vol. III, Analekten, p. 96 (trad. ital.: Milano, 1966, vol. II, pp. 241-242); P.O. von Tšrne, Ptolémée Gallio cardinal de C™me, Helsingsfors, 1907, pp. 2-3); L. von Pastor, Geschichte der PŠpste, Freiburg in. Br., vol. XI, 1927 (trad. ital.: Roma, 1929, vol. XI, p. 188). Invece H. Laemmer (Zur Kirchengeschichte des 16. und 17. Jahrhunderts, Freiburg, 1863, p. 17), tratto in inganno dal titolo del Ms. Sessoriano, 411, cc. 25v-34r, già nella Biblioteca di S. Croce in Gerusalemme e ora nella Biblioteca nazionale di Roma, attribuì erroneamente a F. la relazione anonima sui cardinali che circolò unitamente a quella del rodigino, inducendo così in errore sia L. von Pastor (Storia dei Papi cit., vol. XI, p. 188; vol. XII, pp. 35-35), che A. Ratti, il futuro papa Pio XI (Opuscolo inedito e sconosciuto del card. Cesare Baronio, Perugia, 1910, p. 38).
Gli occasionali biografi di F. si sono quasi sempre limitati a riferire le scarne indicazioni contenute nelle sue opere, a partire da G. Ghilini (Teatro d’huomini letterati, Milano, [1633], pp. 221-233), punto di riferimento obbligato per coloro che in seguito occupati di lui: da P. Bayle, Dictionnaire historique et critique (Basle, 1741, vol. II, p. 491) a L. Moreri, Le grand dictionnaire historique (Amsterdam, 1740, vol. IV, p. 147) a M. De Real, La science du gouvernement (Amsterdam, 1764, vol. VIII, pp. 708-709). Non sono mancate aggiunte fantasiose, come l’attribuzione a F. di una Ragion di Stato, Urbino, 1623 (in realtà di Federico Bonaventura), ancora ricorrente nella voce di A. Bertolino in Enciclopedia italiana (Roma, 1949, vol. XV, p. 831). Né più approfonditi sono i numerosi profili biografici di F. lasciati mss. da eruditi rodigini a partire dal ‘600, cfr. A.E. Baldini, Per la biografia di Girolamo Frachetta. La famiglia e gli anni di Rovigo e di Padova (1558-1581), ÇAtti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed artiÈ, XCII, 1979-1980, parte III, pp. 17-45. Degni di qualche attenzione sono quelli di Giovanni Bonifacio (Elogia clarorum Rhodiginorum, Rovigo, Accademia dei Concordi, Fondo Silvestriano, 386, XL), Baldassare Bonifacio (Illustrium Rhodiginae urbis elogia, ivi, Fondo Silvestriano, 385, cc. 132v-133r) e sopratutto quelli di Girolamo Silvestri, scritti nel 1762 con maggiore precisione e documentazione (Memorie appartenenti alla storia topografica del Polesine e della città di Rovigo, ivi, Fondo Concordiano, 193, pp. 152-159); abbastanza accurata è la rassegna delle opere di F. lasciata da Luigi Ramello (Zibaldone manoscritto per la mia biblioteca degli illustri rodigini, ivi Fondo Concordiano, 143, cc. 134v-141r).
Sulla sua vita cfr., tra l’altro, L. Ferrari, Onomasticon, Milano, 1947, p. 319; cfr. anche J.-A. De Thou, Historiae sui temporis, Londini, 1733, vol. VII, pp. 1-4; A. Zeno, Annotazioni a G. Fontanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana, Venezia, 1753, t. I, pp. 231-232, t. II, p. 326; “Il Bibliofilo”, XI, 1890, 2-3, p. 31; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, Roma, 1895, vol. II, pp. 388-389; C. Morandi, recensione a F. Chabod, Giovanni Botero (1934), – “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, XXXVI, 1934, pp. 617-625; A. De Rubertis, La congiura spagnuola contro Venezia nel 1618 secondo i documenti dell’Archivio di Stato di Firenze, “Archivio storico italiano”, CV, 1947, pp. 10-49, 153-167: 42-43; Correspondance du nonce en France Innocenzo Del Bufalo évque de Camerino (1601-1604), éditée par B. Barbiche, Rome-Paris, 1964, p. 662; P. Manzi, Annali della stamperia Stigliola, Firenze, 1968, pp. 71-74; A. Soman, De Thou and the Index, Genève, 1972, pp. 30-31, 35, 38; A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII. Girolamo Frachetta e la sua relazione del 1603 sui cardinali, Milano, 1981; Id., Un sistema “usitatissimo in tutto il mondo”. Denaro e favori in una lettera di Frachetta del 1617, “Il Pensiero politico”, XXVI, 1993, pp. 243-253.
Su F. Piccolomini e i suoi allievi cfr. A.E. Baldini, Per la biografia di Francesco Piccolomini, “Rinascimento”, s.II, XX, 1980, pp. 389-420; Id., La politica “etica” di Francesco Piccolomini, “Il Pensiero politico”, XIII, 1980, pp. 161-185.
Sui legami di F. con Rovigo cfr. anche G. Bonifacio, Il Frachetta, Padova, 1624 (dialogo tra F. e A. Riccoboni “intorno alle dedicationi dell’opere letterarie”); Id., Lettere familiari, Rovigo, 1627, pp. 14-22, 121-124, 155-156, 209-210, 251-253 (una lettera a F. erroneamente datata 7 luglio 1620 e una di condoglianze per la sua morte indirizzata al fratello Lodovico in data 7 maggio 1620 hanno indotto numerosi studiosi a collocare la morte di F. in tale anno); L. Groto, Lettere famigliari, Venezia, 1626, pp. 363-371; G. Bonifacio, Musarum libri, Venezia, 1646, p. 280; G. Pietropoli, L’Accademia dei Concordi nella vita rodigina dalla seconda metà del sedicesimo secolo alla fine della dominazione austriaca, Padova, 1986, passim; per due fantasiosi ritratti settecenteschi di F. cfr. A. Romagnolo, La pinacoteca dell’Accademia dei Concordi, Rovigo, 1981, pp. 280, 304-305.
Sulla lapide posta dal fratello di F. in Rovigo cfr. G. Locatelli, La genealogia delle famiglie nobili della città di Rovigo, 1720, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, Fondo Concordiano, 40, c. 369; F. Adami, Stemmi ed iscrizioni nel tempio di S. Maria del Soccorso, in La Rotonda di Rovigo, Vicenza, 1967, p. 125; A.E. Baldini, Per la biografia di Girolamo Frachetta. La famiglia e gli anni di Rovigo e di Padova (1558-1581) cit., pp. 17-45; Le “iscrizioni” di Rovigo delineate da Marco Antonio Campagnella, Trieste, 1986, pp. 227, 367.
Per i contatti di F. con la Spagna e per i numerosi documenti relativi alle sue pensioni, conservati soprattutto nell’Archivo de la Embajada de Espa–a cerca de la Santa Sede (Madrid) e nell’Archivo General de Simancas cfr. A.E. Baldini, Girolamo Frachetta informatore politico al servizio della Spagna, in corso di stampa.
Sulle opere e sul pensiero politico di F. cfr. F. Cavalli, La scienza politica in Italia, Venezia, 1873, II, pp. 220-233; U. Gobbi, L’economia politica negli scrittori italiani del sec. XVI-XVII, Milano, 1889, pp. 124-124; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Palermo, 1896, p. 141; G. Cavazzuti, Studi sulla letteratura politico-militare, Modena, 1905, pp. 121-143; F. Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, MŸnchen-Berlin, 1924 (trad. ital.: Firenze, 1970, pp. 120, 126, 193); B. Croce, Storia dell’età barocca in Italia, Bari, 1929, pp. 88, 92; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma, 1949, pp. 79-81, 90, 121-123; F. El’as de Tejada, Napoles Hispanico, vol. IV, Sevilla, 1961, pp. 241-247; B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, Chicago, 1961, 2 voll., pp. 59, 214-215, 311-312, 593-595; R. De Mattei, Il pensiero politico di Scipione Ammirato, Milano, 1963, passim; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, 1966, 206, 643, 759; G. Bonnant, La librairie genevoise en Italie jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, “Genava”, n.s., XV, 1967, pp. 117-160: 122, 159; W.F. Church, Richelieu and reason of state, Princeton, N.J., 1972, pp. 64-66; V.I. Comparato, Uffici e società a Napoli (1600-1647), Firenze, 1974, passim; F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma, 1979, vol. IV, p. 260; R. De Mattei, Il problema della “ragion di Stato” nell’età della Controriforma, Milano-Napoli, 1979, passim; Id., Il pensiero politico italiano nell’età della Controriforma, Milano-Napoli, 1982-1984, 2 voll., passim; A. Anglo, Aphorismes politiques. Evolution d’une fragmentation systematisée, in L’automne de la Renaissance 1580-1630, a cura di J. Lafond e A.Stegmann, Paris, 1981, pp. 271-279; Il concetto di “Interesse”, a cura di L. Ornaghi, Milano, 1984, pp. 14, 63; M. Stolleis, Staat und Staatsräson in der frühen Neuzeit, Frankfurt/M., 1990, passim; Botero e la ‘Ragion di Stato’, a cura di A.E. Baldini, Firenze, 1992, passim; D. Taranto, Studi sulla protostoria del concetto di interesse, Napoli, 1992, pp. 82-84; G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano, Bologna, 1993, pp. 102-109; A.E. Baldini, Girolamo Frachetta e l’enciclopedia della politica, in corso di stampa.
Su di lui cfr. inoltre B. Bulgarini, Antidiscorso. Ragioni in risposta al primo Discorso sopra Dante, Siena, 1616, p. 38; B. Bonifacio, Lettere poetiche per difesa e dichiarazione della sua tragedia, Venezia, 1622, pp. 128-130; Id., Musarum libri, Venetiis, 1646, p. 280; A. Lollino, Epistolae miscellaneae, Belluni, 1641, pp. 166, 169; G.F. Tomasini, Bibliothecae Venetae manuscriptae publicae, Utini, 1650, p. 101; A. Baillet, Jugemens des savans sur les principaux ouvrages des auteurs, t. III, Paris, 1685, p. 665; [G. Fontanini,] Bibliothecae Josephi Renati Imperialis S.R.E. Diaconi Cardinalis Sancti Georgii catalogus, Romae, 1711, p. 189; G.M. Crescimbeni, Dell’istoria della volgar poesia, Venezia, 1730, vol. V, p. 312; Id. Comentari intorno alla sua Istoria della volgar poesia, vol. II, parte I, Venezia, 1730, pp. 266-268; J.H. Zedler, Grosses vollstŠndiges Universal-Lexikon, IX, Halle und Leipzig, 1735, col. 1601; S. Maffei, Verona illustrata, parte II, Verona, 1731, col. 280; Id., Osservazioni letterarie che possono servir di continuazione al Giornal de’ letterati d’Italia, Verona, vol. II, 1738, p. 185; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, t. II, Milano, 1742, p. 73; D. Giorgi, Catalogo della libreria Capponi, Roma, 1747, p. 272; G. Bronziero, Istoria delle origini e condizioni de’ luoghi principali del Polesine di Rovigo, Venezia, 1748, p. 24; F. Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori, t. II, Milano, 1767, pp. 349-350; N.F. Haym, Biblioteca italiana, Milano, 1771, pp. 315, 492, 500; Biographie universelle ancienne et moderne, t. XV, Paris, 1816, pp. 418-419 (trad. ital.: vol. XXII, Venezia, 1825, p. 81); Nouvelle biographie générale, publiée par MM. Firmin Didot Frères sous la direction de [Ferdinand] Hoefer, t. XVIII, Paris, 1858, pp. 422-423; J.G.T. Graesse, Trésor des livres rares et precieux, Dresde, 1861, p. 624; F. De Vit, Opuscoli letterari editi e inediti, vol. VII, Milano, 1883, p. 114; Biographie universelle en six volumes, Paris, 1833, t. XII, p. 1126; F. Bocchi, Degli uomini che per dottrina ed azione illustrarono in vari tempi il polesine di Rovigo, “Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti”, s. VI, II, 1883-1884, pp. 1013-1033: 1016, 1024; U. Gobbi, L’economia politica negli scrittori italiani del secolo XVI-XVII, Milano, 1889, pp. 124-125; “Giornale storico della letteratura italiana”, XXX, 1897, p, 366; H. Lonchay, Introduction, in F. Verdugo, Comentario […] de la guerra de Frisia, publié par H. Lonchay, Bruxelles, 1899, p. I; G. Carducci, S. Ferrari, Prefazione, in F. Petrarca, Le rime, commentate da G. Carducci e S. Ferrari, Firenze, 1899, p. XV; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano, [1903], p. 577; G. Garollo, Dizionario biografico universale, Milano, 1907, vol. I, p. 846; C. Tribalza, La critica letteraria (Dai Primordi dell’Umanesimo all’Età nostra), vol. II (secoli XV-XVII), Milano, 1915, p. 193; L. Alpago Novello, La vita e le opere di Luigi Lollino vescovo di Belluno (1596-1625), I, “Archivio veneto”, s. V, XIV, 1933, pp. 15-116: 25; S. Morpurgo, Recensione a P. De Nolhac, Le “Canzoniere” autografe de Pétrarque: Communication faite à l’Accadémie des Inscriptions et Belles-Lettres (Paris, 1886), e a A. Pakscher, Aus einem Katalog des Fulvius Ursinus (estratto, Halle, 1886), – “Rivista critica della letteratura italiana”, III, n. 6, 1886, coll. 161-170: 162; G. Toffanin, Machiavelli e il “Tacitismo”. La “Politica storica” al tempo della controriforma, Padova, 1921 (nuova ed.: Napoli, 1972, p. 162); G. Casati, Dizionario degli scrittori d’Italia, Milano, 1929, vol. III, p. 90; Ch. Benoist, Le machiavélisme, III, Paris, 1936, p. 343; A. Cappellini, Polesani illustri e notabili. Compendio biografico, Genova, 1939, pp. 40-41; A. Broglio, L’Accademia dei Concordi di Rovigo, “Atti dell’Accademia dei Concordi di Rovigo”, I, 1939, pp. 15-16 (estratto); E.A. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, Venezia, vol. V, 1842, p. 45; vol. VI, 1853, p. 935; B. Brunello, Controriforma e ragion di Stato, Bologna, 1954, p. 133; L. Firpo, Lettere inedite di Giovanni Botero, “Atti della Accademia delle Scienze di Torino”, vol. 89, 1954-1955, t. II, pp. 204-241: 213; J. von Stackelberg, Tacitus in der Romania. Studien zur literariscehn Rezeption des Tacitus in Italien und Frankreich, Tübingen, 1960, p. 84; R. De Mattei, Dispute filosofico-politiche nelle accademie romane del seicento, “Studi romani”, IX, 1961, pp. 148-167: 152; Bibliografia dell’Archivio Vaticano, Città del Vaticano, 1963, vol. II, p. 470; L. Firpo, Il pensiero politico del Rinascimento e della Controriforma, in Grande antologia filosofica, diretta da M.F. Sciacca, vol. X, Milano, 1964, p. 646; G. Benzoni, Giovanni Bonifacio (1547-1635), erudito uomo di legge e … devoto, “Studi veneziani”, IX, 1967, pp. 247-312: 296; T. Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento. Bibliografia – Antologia, Roma, 1967, p. 110; Il Cinquecento. Dal Rinascimento alla Controriforma. La letteratura italiana storia e testi, diretta da C. Muscetta, vol. IV, t. II, Roma-Bari, 1973, pp. 86, 98, 541, 545; G. Benzoni, Aspetti della cultura urbana nella società veneta del ‘5-‘600. Le Accademie, “Archivio veneto”, s. IV, CVIII, 1977, pp. 87-159: 106; E. Veronese Ceseracciu, La biblioteca di Flavio Querenghi, professore di filosofia morale (1624-1647) nello Studio di Padova, “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, IX-X, 1977, pp. 185-213: 209; Q. Skinner, The foundations of modern political thought, Cambridge, 1978, vol. I, p. 248 (trad. ital.: Bologna, 1989); S. Mastellone, Storia ideologica da Savonarola a Adam Smith, Firenze, 1979, p. 146; A. Grizzo, “L’onesta prudenza” nelle massime di La Rochefocauld, ÇFilosofia politicaÈ, I, 1982, pp. 247-255: 248; P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden, vol. I, 1963, p. 366, vol. II, 1967, p. 539, vol. III (Alia itinera, I), 1983, p. 570; vol. IV. (Alia itinera, II), 1989, p. 521; J.A. Fernàndez-Santamarìa, Reason of state and statecraft in Spanish political thought, 1595-1640, Lanham-New York-London, 1983, p. 31; H. Münkler, Staatsraison und politische Klugheitslehre, in Pipers Handbuch der politischen Ideen, hrsg., von I. Fetscher und H. Münkler, III, München-Zürich, 1985, pp. 52, 68; H. Münkler, In Namen des Staates. Die Begründund des Staatsraison in der Frühen Neuzeit, Frankfurt/M., 1987, pp. 203, 230, 363; “Famiglia” del principe e famiglia aristocratica, a cura di C. Mozzarelli, Roma, 1988, pp. 20, 324; R. Bireley, The Counter-Reformation prince. Anti-machiavellianism or catholic statecraft in early modern Europe, Chapel Hill and London, 1990, p. 50; Ch. Lazzeri, Le gouvernement de la raison d’état, in Le pouvoir de la raison d’ƒtat, Paris, 1992, p. 117; W. Weber, Prudentia gubernatoria. Studien zur Herrschaftslehre in der deutschen politischen Wissenschaft des 17. Jahrhunderts, Tübingen, 1992, pp. 54, 76, 177; L. Bianchi, Per una biblioteca libertina: Gabriel Naudé e Charles Sorel, in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di E. Canone, Firenze, 1993, pp. 171-215: 187, 205, 207, 208; G. Ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di don Orazio Morandi, in Bibliothecae selectae cit., pp. 217-252: 239.
A. Enzo Baldini
Note
Testo della voce “G. Frachetta” scritta per il Dizionario biografico degli italiani, dove apparirà in una versione ridotta e senza note per motivi di uniformità col piano generale dell’opera.
1. Cfr. A.E. Baldini, Per la biografia di Girolamo Frachetta. La famiglia e gli anni di Rovigo e di Padova (1558-1581), “Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti”, XCII, 1979-80, parte III, pp. 17-45: 25-26.
2. Rovigo, Accademia dei Concordi, Fondo Concordiano, 527, c. 12v; l’atto è in un “Registrino dei battezzati della Pieve di S. Stefano” (il più antico tra i registri battesimali conservati a Rovigo), che ci è pervenuto fortunosamente. Fu infatti acquistato “in una tabaccheria nel 1895 o nel 1896” (come è annotato nella copertina) da Abd el Kader Modena, che lo sottrasse così alla distruzione e lo donò poi all’Accademia dei Concordi unitamente ai propri scritti e documenti di storia rodigina. Quando ancora era in suo possesso, ne permise l’utilizzazione, proprio per stabilire la data di nascita di F., a Giuseppe Cavazzuti (Studi sulla letteratura politico-militare dall’assedio di Firenze alla guerra dei trent’anni, Modena, 1905, p. 122).
3. Rovigo, Archivio parrocchiale di S. Stefano, Registri di battesimo, matrimonio e morte.
4.Rovigo, Archivio di Stato, Notaio Francesco Molin, 1613-44, D, cc. 127r, 128r.
5. Rovigo, Archivio parrocchiale di S. Stefano, Battesimi 1564-1576, c. 19v.
6. Cfr. S. Malavasi, Giovanni Domenico Roncalli e l’accademia degli Addormentati di Rovigo, “Archivio veneto”, s. V, XCV, 1972, pp. 47-58; Id., Sulla diffusione delle teorie ereticali nel Veneto durante il ‘500: anabattisti rodigini e polesani, “Archivio veneto”, s. V, XCVI, 1972, pp. 6-24; Id., Intorno alla figura e all’opera di Domenico Mozzarelli, eterodosso rodigino del Cinquecento, “Archivio veneto”, s. V, CIX, 1977, pp. 67-91.
7. Su di lui cfr. G. Marchi, La riforma tridentina in diocesi di Adria nel secolo XVI, Cittadella, 1969(2), pp. 219, 241, 487.
8. L. Groto, Lettere famigliari, Venezia, 1626, p. 365.
9. G. Frachetta, Dialogo del furore poetico, Padova, L. Pasquati, 1581, p. 5.
10. Sul Lollino cfr. L. Alpago Novello, La vita e le opere di Luigi Lollino vescovo di Belluno (1596-1625), I-II, “Archivio veneto”, s. V, XIV, 1933, pp. 15-116; P. Canart, Alvise Lollino et ses amis grecs, “Studi veneziani”, XII, 1970, pp. 553-587. Sull’accademia degli Animosi cfr. S. Olivieri Secchi, Laici ed ecclesiastici fra sogno e ragione in un’accademia padovana del ‘500: gli Animosi, “Archivio veneto”, s. V, CXIX, 1988, pp. 5-30. Sul Piccolomini e la cerchia ristretta dei sui suoi allievi privati (per alcuni dei quali, figli di nobili veneziani, era solito preparare o suggerire opere di etica e di filosofia civile, quindi di argomento politico, poi da questi pubblicate a proprio nome al termine dei loro studi) cfr. A.E. Baldini, Per la biografia di Francesco Piccolomini, “Rinascimento”, s. II, XX, 1980, pp. 389-420.
11.Cfr. A.E. Baldini, La politica “etica” di Francesco Piccolomini, “Il Pensiero politico”, XIII, 1980, pp. 161-185.
12. Su Giovan Battista Pona (1556/1557-1588), che si laureò in arti e medicina il 26 settembre 1580 (Padova, Archivio antico dell’Università, 334, c. 116v), cfr. P. Rossi, Francesco Pona nella vita e nelle opere, “Memorie della Accademia di Verona”, s. III, LXXIII, 1897, pp. 70-72; G. Fulco, Introduzione, in F. Pona, La lucerna, Roma, 1973, pp. XII-XIII, LVII. Luigi Prato si laureò in diritto civile il 13 maggio 1580 (Padova, Archivio della Curia vescovile, D 62, c. 350v; Padova, Archivio antico dell’Università, 145, p. 845) e probabilmente in seguito anche in diritto canonico. Prospero Bernardo figura come testimone di laurea il 29 marzo 1575 (Padova, Archivio della Curia vescovile, Diversorum, I, 56 B, f. 10v). Sul Dialogo cfr., tra l’altro, B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, 2 voll., Chicago, 1961, pp. 59, 311-312, 593-595. Un’aggiunta inserita al termine del volume e composta con diversi caratteri, ci fa capire che lo scritto aveva ricevuto qualche obiezione da parte dell’Inquisitore patavino (“Fr. Maximianus”). In essa F. si dichiarava certo che “gl’intendenti lettori” avrebbero capito in maniera corretta quanto da lui scritto e che non era sua intenzione “traviar dalla vera strada”. Tuttavia, per le “persone idiote et di grosso ingegno” e “per obedienza anchora del Santo UffitioÈ dichiarava che Çse si chiama il Furor poetico in questo libro cosa Divina, ciò si fa secondo l’openion di Platone et d’Aristotele solamente, et non secondo la verità” (Dialogo, p. 117 n.n.).
13. Padova, Archivio antico dell’Università, 334, c. 132v; cfr. anche A.E. Baldini, Per la biografia di Girolamo Frachetta cit., p. 40. Due anni più tardi, nella dedica dell’opera De universo (Roma, 1583), oltre a Piccolomini, ricorderà tra i propri insegnanti patavini Tommaso Pellegrini, che ricopriva la prima cattedra di metafisica, e Alfonso Soto, che leggeva Sacre Scritture.
14. G. Frachetta, Dialogo del furore poetico cit., dedica.
15. Cfr. S. Morpurgo, Recensione a P. De Nolhac, Le “Canzoniere” autografe de Pétrarque: Communication faite à l’Accadémie des Inscriptions et Belles-Lettres (Paris, 1886), e a A. Pakscher, Aus einem Katalog des Fulvius Ursinus (estratto, Halle, 1886), – “Rivista critica della letteratura italiana”, III, n. 6, 1886, coll. 161-170: 162. Sull’opera e sulla sua importanza cfr. anche B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance cit., pp. 214-215.
16. Nel testo la datazione è more veneto e di conseguenza vi figura l’anno “1588”.
17. Cfr. il dispaccio da Roma del 13 aprile 1594 di Girolamo Gilioli al proprio signore, il duca di Ferrara (Modena, Archivio di Stato, Ambasciatori Roma, 153, alla data).
18. Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, 955; le lettere sono datate 18 e 25 luglio, 1 agosto 1592.
19. Come tale figura nel Breve papale del 8 maggio 1597 col quale gli fu concessa una pensione nel vescovado di Cassano Ionio in Calabria (Archivio Segreto Vaticano, Secretaria Brevium, 262, c. 19r); cfr. anche oltre.
20. G. Frachetta, Il seminario de’ governi di Stato et di guerra, Venezia, E. Deuchino, 1613, dedica.
21. Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticani latini, 6558, II, cc. 199r-206v.
22. Ivi, Urbinati latini, 854, I, cc. 225r-257v. Lo scritto sarà poi inserito nel volume Il primo libro dei discorsi di stato et di guerra, Roma, 1600, pp. 1-25.
23.Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticani latini, 6883, cc. 377-378.
24.Ivi, Vat. lat., 6558, II, cc. 194r-198r; 213r-222v; 278r-288v).
25. A.E. Baldini, Le guerre di religione francesi nella trattatistica italiana della ragion di Stato: Botero e Frachetta, “Il Pensiero politico”, XXII, 1989, pp. 301-324: 315.
26. Sul pericolo corso da Frachetta cfr. Simancas, Archivo General, Estado, leg. 1972, Consulta del Consiglio di Stato dell’8 novembre 1607.
27.Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, 960; la lettera di Alario (20 febbraio 1593) è pubblicata in “Il Bibliofilo”, XI, 1890, 2-3, p. 31. Su di essa cfr. anche S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, Roma, 1895, vol. II, pp. 388-389.
28. Cfr. G. Bonifacio, Lettere familiari, Rovigo, 1627, p. 121; sull’accademia cfr. M. D. Pellegrini, Prospetto dell’accademia veneziana seconda, “Giornale dell’italiana letteratura”, t. XXXII, 1812, pp. 356-377; P.L. Rose, The accademia venetiana. Science and culture in Renaissance Venice, “Studi veneziani”, XI, 1969, pp. 191-215.
29. Le copie cifrate sono allegate ai dispacci di Sessa, a partire da quello del 20 settembre 1593 (Simancas, Archivo General, Estado, leg. 961, dove vengono fornite anche indicazioni sull’ “amigo” di Desportes che ci permettono di identificarlo con F.), sino a quello del 21 febbraio 1594 (ivi, leg. 963).
30. A.E. Baldini, Le guerre di religione francesi cit., pp. 303-314.
31. Modena, Archivio di Stato, Ambasciatori Roma, 153, alla data.
32. Modena, Archivio di Stato, Ambasciatori Roma, 153-156.
33. In apertura del proprio esemplare (anonimo), l’autorevole card. Giulio Antonio Santoro, presidente della Congregazione cardinalizia per gli affari di Francia, scriveva di proprio pugno: “Commentarii delle cose di Francia trascritti dal suo originale alli x di settemb. del 1594” (Archivio Segreto Vaticano, Armaria, I, vol. XX, c. 257r; il testo è alle cc. 259r-296r).
34. Per gli esemplari mss. dell’opera cfr. oltre, Fonti e bibliografia.
35. Torino, Archivio di Stato, Lettere ministri Roma, 12, n. 73; Modena, Archivio di Stato, Ambasciatori Roma, 153, alla data. Altre copie dello scritto (poi pubblicato nella raccolta Il primo libro dei discorsi di stato et di guerra, Roma, 1600, pp. 25-35) in Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbinati latini, 821, III, cc. 252r-257v; ivi, Urbinati latini, 1492, cc. 69r-71v. Sull’attribuzione dello scritto a F. cfr. “Indici dei manoscritti che sono nella libreria del signor duca d’Urbino” (Archivio Segreto Vaticano, Borghese, IV, 177, cc. 77r-78v).
36. G. Frachetta, Oratione prima[-terza] a Sigismondo Battori, Roma, B. Beccari, 1595-1596 (la terza è del 1596); Id., Tre orationi a Sigismondo Battori, Verona, G. Discepolo, 1596; Id., Oratione quarta a Sigismondo Battori, Roma, B. Beccari, 1597; Id., Oratione prima al Re Cattolico, Roma, B. Beccari, 1597.
37.G. Frachetta, Il ragguaglio delle meravigliose pompe con le quali Mehemet Settergi generale di Mehemet III imperator de’ Turchi è uscito di Costantinopoli, Venetia, G. Martini, 1597; Id., Copia d’una lettera del signor Girolamo Frachetta al s.or Antonio Riccobuono, per giustificarsi da certo Ragguaglio stampato in Venetia, falsamente appostogli, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1597. Sul Ragguaglio cfr. anche T. Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento. Bibliografia – Antologia, Roma, 1967, p. 110 (dove però non viene messa in dubbio l’attribuzione a F.).
38. Cfr., tra l’altro, Madrid, Archivo de la Embajada de Espana cerca de la Santa Sede, leg. 10, cc. 145, 199; ivi, leg. 12, c. 280; ivi, leg. 17, cc. 138r-139v; Simancas, Archivo General, Estado, leg. 1705, alla voce; ivi, Estado, 1713, alla voce; ivi, Estado, leg. 1971, n. 23; ivi, Estado, leg. 1972, n. 461; ivi, Secretar’as Provinciales, libro 300, 5 maggio 1604.
39. Simancas, Archivo General, Estado, leg. 967 (dispaccio di Sessa del 30 dicembre 1596, con la proposta della pensione); Madrid, Archivo de la Embajada de Espa–a cerca de la Santa Sede, leg. 10, c. 199 (lettera del Re, per mano di Juan de Idiàquez, del 28 maggio 1597 al Sessa con l’ordine di assegnazione della pensione); Simancas, Archivo General, Estado, leg. 969 (lettera di ringraziamento autografa di F. a Filippo II del 6 luglio 1597).
40. Archivio Segreto Vaticano, Secretaria Brevium, 262, c. 19r. Sulla pensione e sulla deroga cfr. anche F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma, 1979, vol. IV, p. 260.
41. Nella dedica al conte di Lemos leggiamo tra l’altro: “Colle quali due ultime virtù heroiche [pietà cristiana e prudenza] V.E. ha potuto guardare non pur il Regno di Napoli, ma l’Italia tutta da un’imminente pericolo che le soprastava. Sorgeva, anzi era di già nata, et venia crescendo in Calabria una nuova setta d’Heretici, o più tosto Atheisti, che, appoggiati alla potenza del Turco, pensavano non solo di ribellare quella provincia da Dio, et dal Re, ma anco muovere et infettare il resto del Regno, et turbare il riposo d’Italia. Al qual male V.E., appena giunto al governo di Napoli, ha con tanto zelo, et con tanta destrezza, et così presto rimediato, che già il tutto è in sicuro; tal che ogn’uno le dona lode, et afferma lei haver per questa attione meritato molto più gloria che non meritò Cicerone per haver salvata Roma dalla congiura di Catilina, conciosiacosache quegli salvasse questa Città solo quanto allo Stato, ma V.E. ha salvato il Regno non pur quanto allo Stato, ma etiandio quanto alla Fede”.
42. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.128, c. 460r.
43. Madrid, Archivo de la Embajada de Espana cerca de la Santa Sede, leg. 12, c. 280 (lettera del Re, per mano di Pedro Franqueza, al duca di Sessa, del 13 dicembre 1601); Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.128, c. 461r (lettera autografa di F. al duca d’Urbino del 2 febbraio 1602, con la quale dava notizia della nuova pensione).
44. Il segretario dell’ambasciata Pedro Ximenez, uomo di fiducia di Sessa e per questo emarginato da Villena, aveva subito presentato a quest’ultimo una “Memoria de las personas que el Duque de Sessa propuso al de Escalona para informarse de las cosas de la corte de Roma” (Simancas, Archivo General, Estado, leg. 973). In essa F. veniva significativamente presentato come “ombre de buenas letras, i platico de las cosas del mundo, i gran discursista”. La memoria rimase però inascoltata.
45. A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII. Girolamo Frachetta e la sua relazione del 1603 sui cardinali, Milano, 1981, pp. 14-61.
46. Roma, Archivio di Stato, Tribunale criminale del governatore, 34, cc. 982r-985v.
47. Cfr. Correspondance du nonce en France Innocenzo Del Bufalo évque de Camerino (1601-1604), éditée par B. Barbiche, Rome-Paris, 1964, p. 662 (lettera del nunzio da Parigi in data 10 febbraio 1604, nella quale “Girolamo Frachetto”, destinatario di una copia delle Historiae, era erroneamente indicato come “Genovese”); cfr. anche A. Soman, De Thou and the Index, Genève, 1972, pp. 30-31, 35, 38.
48.Sulla sua permanenza al castel dell’Ovo (dove tornerà qualche anno più tardi, ma come prigioniero) cfr. la Consulta del Consiglio di Stato in data 8 novembre 1607 (Simancas, Archivo General, Estado, leg. 1972). Tra gli interventi in suo favore partiti dalla Spagna cfr. le due lettere di Filippo III al viceré di Napoli del 25 maggio 1604 (ivi, Secretar’as Provinciales, libro 527, c. 139) e del 1606 (ivi, Estado, leg. 1705, minuta), e quella al Villena del 14 ottobre 1604 (ivi, Estado, leg. 1857, n. 396).
49. Forse anche per questo rifiutò con garbo l’invito a trasferirsi presso la corte del duca d’Urbino (lettera al duca del 15 aprile 1604, Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215,, c. 3). In ogni caso Urbino era una sede troppo decentrata e angusta per poter far fronte alle sue ambizioni, né poteva reggere il confronto con Napoli. Per le disposizioni circa l’utilizzazione di F. in incarichi di prestigio “y particularmente en goviernos” cfr. la lettera di Filippo III al conte di Benavente, viceré di Napoli, in data 14 ottobre 1604 (ivi, I.G.189, c. 120r, copia di mano di F. per il duca d’Urbino).
50. L’intensità di tale attività è attestata dalla sua fitta corrispondenza col duca d’Urbino, destinatario di copie di gran parte delle sue relazioni (Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, cc. 911, intera filza di lettere di F. da Napoli al duca, dal 1604 al 1619).
51. G. Frachetta, Li commentari di Francesco Verdugo delle cose successe in Frisia nel tempo che egli fu governatore et capitan generale in quella provincia. Non prima messi in luce, et tradotti della lingua Spagnuola nell’Italiana, Napoli, F. Stigliola, 1605. Sull’opera (pubblicata poi in edizione spagnola nel 1610) e su Verdugo cfr. P. Manzi, Annali della stamperia Stigliola a Porta Reale in Napoli (1593-1606), Firenze, 1968, pp. 71-74; cfr. anche F. Verdugo, Comentario […] de la guerra de Frisia, Madrid, 1872; Id., Comentario […] de la guerra de Frisia, publié par H. Lonchay, Bruxelles, 1899.
52. Cfr. le Consulte del Consiglio di Stato del 15 agosto 1604, 2 ottobre 1605 e 31 gennaio 1606 (Simancas, Archivo General, Estado, leg. 1971, n. 289; leg. 1693, n. 410; leg. 1972, n. 417).
53.Cfr. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 59 (lettera di F. al duca). Cfr. anche ivi, I.G.187, c. 876r, 887r (lettere di Bernardo Maschi al duca d’Urbino da Madrid, in data 29 settembre e 27 ottobre 1607).
54. Simancas, Archivo General, Estado, leg. 1972.
55. Lo precisava F., scrivendo al duca d’Urbino da Madrid il 16 febbraio 1608 (Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.182).
56. Ivi, Ducato d’Urbino, I.G.262, c. 799 (lettera di F. al duca).
57. Cfr. la lettera di F. al duca d’Urbino del 13 febbraio 1610 (ivi, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 133). Sugli inutili tentativi volti ad ottenere la grazia pontificia, sul viaggio in Spagna e sulle nuove trame romane cfr. A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII cit., pp. 61-77.
58. Cfr. la lettera di F. al duca (7 agosto 1609) nella quale ribadiva la propria disponibilità ad assumere l’incarico (Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 76).
59. Ivi, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 119.
60. Il 5 ottobre 1613 F. scriveva al duca d’Urbino: “Presto sarà da Venezia inviato a V.A. il mio libro, che per il 15 di questo dovrà esser finito di stampare”; il 2 novembre tornava a precisare che il Seminario “hora è uscito alla luce” (ivi, Ducato d’Urbino, I.G.215, cc. 531, 536). L’edizione non fu accolta con soddisfazione da F.: “Il libro uscì molto scorretto, et mal trattato; ma io l’ho riveduto, et spero che uscirà la seconda volta più purgato d’errori et più netto di bruttezze” (lettera di F. ad Alvise Lollino del 24 febbraio 1615, Accademia dei Concordi di Rovigo, Fondo Concordiano, 375-383; ora in Dodici lettere d’illustri rodigini, Rovigo, 1845, pp. 23-24).
61. Sulle successive edizioni dell’opera cfr. oltre, Fonti e bibliografia. Tra l’altro, fu immediatamente assunta come modello da Fabio Frezza (Massime, regole et precetti di Stato et di Guerra, Venezia, E. Deuchino, 1614) che, nella dedica al principe Filippo di Spagna, non esitò ad indicare F. come proprio maestro.
62. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 221r.
63. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 239v (lettera di F. al duca d’Urbino, Napoli 12 febbraio 1611).
64. Sull’attività di F. come agente e sui suoi rapporti con Ossuna e con Lagomarsino cfr. A.E. Baldini, Un sistema “usitatissimo in tutto il mondo”. Denaro e favori in una lettera di Frachetta del 1617, “Il Pensiero politico”, XXVI, 1993, pp. 243-253.
65. Inviandone un esemplare al duca di Modena (al quale aveva già mandato la prima edizione), precisava in una lettera da Napoli datata 1deg. febbraio 1617 che “si è ristampato con molte correttioni, et non poche aggiuntioni” (Modena, Archivio di Stato, Letterati 20; cfr. ivi le minute delle lettere di rigraziamento del duca a F. del 1deg. dicembre 1613 e 1deg. luglio 1617). Anche al duca d’Urbino, con la lettera del 22 gennaio 1617, F. precisava che l’opera era uscita Çcon molte correttioni et non poche aggiuntioni fatte da meÈ; ma il 13 luglio tornava sull’argomento, lamentandosi del fatto che le aggiunte potevano essere colte solo con un lavoro di collazione tra le due edizioni e non dal numero delle pagine del nuovo volume, e ciò “per l’avaritia dello stampatore che, con allargar la forma et calcar le righe et i caratteri non l’ha lasciato crescere”. E aggiungeva: “Ho anco mutato parecchie cose, che erano state poste da chi rivide il primo con poca discretione; ma non ho già ottenuto che non sieno così altrettanti errori in questa seconda stampa come nella prima, per l’ignoranza del correttore” (Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.215, cc. 884r, 902r).
66. Cfr. la lettera di F. a quest’ultimo, conservata in copia e senza data presso l’Accademia dei Concordi di Rovigo (Fondo Concordiano, 375-383; ora in Dodici lettere d’illustri rodigini cit., pp. 25-26).
67. Rovigo, Archivio di Stato, Notaio Girolamo Fornaggieri, 1615-1618, II, 494.
68. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.308, I, c. 298r (minuta del duca alla sorella, principessa di Bisignano, in data 14 maggio 1617). Cfr. anche A.E. Baldini, Un sistema “usitatissimo in tutto il mondo” cit., pp. 249-250.
69. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.308, II, c. 254v (minuta).
70. Firenze, Archivio di Stato, Ducato d’Urbino, I.G.216, c. 607 (lettera del Billi al duca).
71. Cfr. la lettera del 23 agosto 1619 di F. al duca, nella quale protestava di non sapere il motivo della propria carcerazione “non mi essendo mai, in diece mesi che io son stato nel castel dell’Ovo, stato dimandato alcuna cosa, né assegnato giudice” (ivi, Ducato d’Urbino, I.G.215, c. 905). La lettera veniva inviata tramite il Billi che, nella sua del 24 agosto, aggiungeva: “Questi giorni finalmente è stato liberato di carcere, doppo dieci mesi di prigionia, il signor Girolamo Fracchetta, come intenderà per l’alligata che scrive a V.A.” (ivi, I.G.216, c. 711v).
72. Una lunga causa rodigina che vide coinvolti gli eredi di F. ha conservato stralci di scarso rilievo del testamento, che fu aperto dal notaio Mariconda l’8 maggio 1620. F. lasciò erede usufruttuario il fratello Lodovico e nominò erede, dopo la morte di questi, il cugino Ambrogio (Rovigo, Archivio di Stato, Congregazioni religiose soppresse, S. Maria dei Battuti, b. 1, fasc. 9; b. 7, fasc. 21; su Ambrogio cfr. sopra).
73. Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbinati latini, 1088, I, c. 20r.
74. Cfr. M.A. Campagnella, Delle iscrizioni pubbliche e private, sacre e profane […] del Polesine di Rovigo, 1750, Rovigo, Accademia dei Concordi, Fondo Silvestriano, 486-487, vol. I, n. CXCIV, p. 79 (ora in Le “iscrizioni” di Rovigo delineate da Marco Antonio Campagnella, Trieste, 1986, pp. 227, 367), dove viene raffigurata la lapide marmorea (successivamente trasferita nel peristilio della chiesa della Rotonda), compreso un busto di F. che la sovrastava, ora scomparso. Il busto, che rappresentava F., con baffi e pizzo ben curati, era ancora presente alla metà del secolo scorso, cfr. Dodici lettere d’illustri rodigini, Rovigo, 1845, p. 23.
Stampa questo articolo