di Raffaella Gherardi (Univ. di Bologna), pubblicato su Paradoxaforum il 26 marzo 2020.
Nel centro del Graben a Vienna, a pochi passi dalla cattedrale di Santo Stefano, si erge la monumentale colonna votiva della peste (Pestsȁule), patrocinata e finanziata dall’Imperatore Leopoldo I, assegnandone l’incarico della progettazione ed esecuzione a maestri sommi dell’arte barocca.
La spaventosa peste del 1679 (nella sola Vienna morirono più di 75.000 persone) aveva segnato il punto di avvio della realizzazione di tale grande impresa scultorea, effettivamente completata e inaugurata soltanto parecchi anni dopo (1693).
Il monumento votivo in questione, se da una parte è senz’altro esemplificativo della volontà del ‘pio Leopoldo’ di invocare e poi rendere grazie alla protezione divina per aver posto termine al flagello della peste, dall’altra può, a mio avviso, essere assunta a simbolo della grande attenzione con la quale la sua politica guarda al pericolo, ricorrente in Europa, della peste e delle sue deflagranti conseguenze a ogni livello e alla stringente necessità di attuare preventivamente ogni misura che possa contribuire a fermarla o perlomeno limitarne la diffusione.
L’attenzione al pericolo in oggetto diviene tanto più forte a ridosso della pace di Karlowitz (1699) che segna l’ascesa della Monarchia austriaca a grande potenza europea, avente il suo fulcro nei territori danubiano/balcanici, dopo una serie di importanti successi militari conseguiti sul fronte sud orientale dell’Impero contro i Turchi (arrivati nel 1683 ad assediare Vienna).
Nell’opera di concreta definizione e di riorganizzazione della frontiera fra i territori asburgici e quelli dell’Impero ottomano, da Vienna partono reiterati ordini e richieste ai più alti esponenti dell’esercito che, al servizio di Leopoldo, stanno operando sul campo, affinché essi tengano presenti non solo i problemi di carattere strettamente militare che tale opera di riorganizzazione impone, ma in senso più ampio quelli della realizzazione di un ‘buon ordine’ generale che considera gli uni con gli altri inscindibili i problemi di un rilancio economico-commerciale dei territori di confine, di riorganizzazione amministrativa e di misure da applicare per porre possibili argini alla diffusione, da oriente, del male sommo della peste fino all’interno dei territori dell’Impero asburgico e dell’Europa.
Il generale bolognese Luigi Ferdinando Marsili, plenipotenziario di Leopoldo I per la realizzazione dei confini stabiliti nella pace di Karlowitz, sottolinea in un Progetto pel buon regolamento a difendere dal pericolo di peste tutta la frontiera (1701) che la peste è «il fulmine più fiero» che sempre è in agguato fra gli uomini.
L’esperienza, recente e passata, dei suoi «orridi effetti», deve di conseguenza indurre il Sovrano ad applicare preventivamente un sistema generale di tutti quegli «ordini e disposizioni» che «per diligenza umana si possano fare», per difendere i suoi Stati e la salute dei sudditi (e i loro interessi) e sia comunque utile a porre ogni possibile argine alla eventuale distruttiva diffusione dell’epidemia.
Al di là delle misure concretamente prospettate dallo stesso Marsili in tal senso (in forza, per esempio, della critica ai «tribunali di sanità», vigenti nell’Impero turco e che, a suo avviso, non sono attendibili, fino alle varie «prescrizioni delle leggi di salute» da porre in atto), ovviamente legate alla situazione delle conoscenze scientifiche del tempo, vale la pena porre in evidenza il forte richiamo che egli, in premessa, rivolge all’Imperatore e agli alti vertici della politica viennese.
Si tratta di costruire un «irrevocabile regolamento» da effettuare, in primo luogo, anche con «l’aiuto della imitazione degli altri» e nella fattispecie di quei paesi che più si mostrano all’avanguardia in tale prospettiva (le «leggi esatte della repubblica di Venezia» vengono esplicitamente richiamate).
C’è sullo sfondo l’idea che la battaglia contro le epidemie debba essere svolta ad ampio raggio da parte di tutti gli Stati? Marsili è un militare e, come tale, è chiamato a rispondere specificamente al suo Sovrano e sarebbe davvero troppo chiedere a lui di addentrarsi in considerazioni più ampie rispetto a quelle che i suoi diretti interlocutori politici gli chiedono di fare.
Certo è che egli ha chiara l’idea che la peste è qualcosa che va ben al di là dei confini degli Stati e che si tratti in ogni caso, anche sotto il profilo meramente interno agli Stati stessi, di far tesoro e confrontare, oltre che le proprie passate esperienze e ben prima che l’emergenza epidemica si manifesti, le misure più innovative e di successo che altri paesi hanno attuato.
L’invito è insomma quello a ragionare ad ampio spettro, nel segno di una politica che ha di mira non solo gli eventi contingenti, del giorno dopo giorno e per la quale i rischi più gravi che le si possono presentare sono qualcosa da tenere sempre ben presenti. Dopo più di tre secoli dalle considerazioni marsiliane, forse ci sarebbe di che interrogarsi di nuovo in profondità, in un’era globale per la quale il ‘qui e adesso’ sembra essere la sola dimensione.
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