Il volume di Tommaso Russo, Il dissenso meridionale e il Gruppo di studio Antonio Gramsci (FrancoAngeli, 2019), analizza aspetti della storia meridionale del secondo dopoguerra finora poco esplorati o che solo recentemente hanno suscitato un certo interesse storico-critico. Inizialmente l’autore svolge un’analisi critica delle modalità di ricostruzione postbellica del Mezzogiorno, mentre in un secondo momento esamina le vicende e i percorsi di alcuni gruppi e associazioni meridionali (che Russo colloca politicamente alla sinistra del Pci) con l’intento di comprendere al meglio la tradizione comunista del Mezzogiorno e i suoi sviluppi, in particolare quello del Gruppo di Studio Antonio Gramsci.
Nella Napoli del secondo dopoguerra sorsero diverse iniziative politico-culturali grazie al contributo di una generazione di giovani che, ispirati da valori socialisti e democratici, avrebbe in seguito fornito alla città intellettuali di livello nazionale e una frenetica attività di riviste, gruppi e associazioni. Tra queste, il Gruppo di studio Antonio Gramsci (fondato da Guido Piegari e Gerardo Marotta nel 1948 e composto da giovani studiosi e studenti universitari) si distinse per il rilievo delle proprie iniziative e per il complesso e problematico rapporto avuto con i quadri dirigenziali del Pci napoletano (all’epoca rappresentato da Giorgio Amendola, Salvatore Cacciapuoti e Mario Alicata, e con il supporto di all’epoca giovani uomini politici come Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano) che avrebbe poi portato all’imposizione dello scioglimento del gruppo. Una volta interrotte bruscamente le attività di studio e ricerca nel 1954, non si hanno ulteriori notizie del Gruppo Gramsci fino alla seconda metà degli Settanta, quando Giorgio Amendola restituisce una visione personale e parziale della vicenda (Gli anni della Repubblica,1976 – Il rinnovamento del Pci. Intervista di Renato Nicolai, 1978) avvicinando erroneamente le posizioni ideologiche dei giovani a quelle di Renato Panzieri e Pietro Secchia.
Una prima ricostruzione ed analisi delle vicende del gruppo si deve ad Ermanno Rea che, negli anni Novanta (Mistero napoletano, 1995) così come più recentemente (Il caso Piegari, 2014), ha favorito, con le sue opere letterarie, il formarsi di un discreto focolaio di interesse verso le vicende del Gruppo Gramsci, sollecitando la pubblicazione di saggi ed interventi da parte di alcuni ex membri del gruppo (come Gerardo Marotta, Ennio Galzenati, Giovanni Allodi e Ugo Feliziani) o di quanti avevano avuto un ruolo, seppur non principale, nella vicenda (come Massimo Caprara e Giorgio Napolitano), o ancora di coloro che ritenevano di dover fornire chiarimenti su determinate prese di posizione assunte in quegli anni (come Paolo Hermann ed Abdon Alinovi). Negli ultimi anni, alla luce delle diverse e non cordanti informazioni e testimonianze susseguitesi negli anni, si è assistito a dei tentativi di fornire una ricostruzione storica ed un quadro organico, quanto più completi possibile, di tutta l’esperienza del Gramsci e del conflitto sorto con la federazione napoletana del Pci (Tullio Saldaneri, 2014 – Giovan Giuseppe Monti, 2017), anche grazie ai documenti inediti conservati e raccolti da Ugo Feliziani ed Ennio Galzenati (oggi consultabili presso la Biblioteca Nazionale di Napoli all’interno del Fondo Feliziani).
Il Gruppo di studio Antonio Gramsci era stato pensato dai suoi giovani fondatori come un luogo di formazione di quadri politici e culturali di sinistra, pur essendo aperto anche a liberali, repubblicani e uomini di cultura di vario genere. In poco tempo divenne un vero e proprio centro di vita intellettuale e di dibattito, con approfonditi studi storici volti, coerentemente con la prospettiva marxista e gramsciana, all’esame dei processi atterverso cui l’Italia contemporanea si era costituita. La Federazione napoletana del Pci guardò inizialmente con interesse e approvazione al Gruppo Gramsci, sia per la bontà delle loro iniziative culturali e dei loro risultati sia per il soddisfacente contributo politico fornito all’interno della federazione (specialmente da Piegari). I primi elementi di dissonanza tra i membri del gruppo e l’ambiente dell’apparato comunista napoletano sorsero alla luce in occasione del VII Congresso nazionale del Pci del 1951, in cui venne affrontato lo spinoso problema del lavoro politico nel Mezzogiorno. In seguito ai loro studi sulla politca italiana del XX secolo e sul ventennio fascista, all’interno del gruppo cominciarono a diffondersi delle posizioni critiche sulla linea meridionalistica del partito, ritenuta troppo vicina alle posizioni di Gaetano Salvemini piuttosto che di Antonio Gamsci. Inoltre, secondo i ragazzi del Gruppo, la politica meridionalista attuata dai dirigenti napoletani indicava nella questione meridionale e nel Movimento di Rinascita del Mezzogiorno il momento unificante della politica comunista nel Sud, rendendola il fulcro di tutti i piani di lotta cui cui il partito era impegnato nel meridione. Per i giovani studiosi, questa interpretazione era foriera di diversi errori ideologici, tra cui il più importante era identificato nella mancata distinzione politica e organizzativa delle piattaforme di lotta democratica e lotta socialista. Ulteriori polemiche con il quadro dirignenziale napoletano sorsero in merito alle interpretazioni che il Gruppo dava alle origini del fascismo, della sua ideologia, e del rilievo che si dava all’opposizione liberale al fascismo, sfociando in un accesco scontro verbale all’interno di una riunione in cui erano presenti anche Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano. Tutto ciò portò ad un ulteriore e progressivo deterioramento dei rapporti del gruppo giovanile con i dirigenti del partito, i quali rifiutarono di accogliere i rilievi politici ed ideologici delle loro posizioni etichettandole come astruserie intellettuali ed espellendoli dalla Commissione culturale. L’ultimo atto della vicenda si svolse nel 1954 quando, prima all’interno di una Riunione del Comitato Federale, poi all’interno del Congresso straordinario della Federazione napoletana del Pci alla presenza di Palmiro Togliatti, il partito prese posizione contro i membri del Gruppo Gramsci, le cui posizioni ideologiche vennero classificate come correnti o schematiche astrazioni. In seguito, il Gramsci, ormai desautorato e delegittimato, cessò di esistere come organismo legato al Pci e al contempo cessarono anche le molteplici attività culturali e politiche di cui esso si occupava. Inoltre alcuni esponenti furono espulsi per “indegnità politica”, altri invece, scottati e delusi dall’evolversi della vicenda, semplicemnte non rinnovarono pià la tessera del partito.
Il contributo di Tommaso Russo si pone senz’altro in continuità con il recente filone di ricerche volto a contestualizzare e dissipare le nubi che nel corso degli anni e delle testimonianze si sono addensate attorno al Gruppo Gramsci e i suoi componenti. Un indubbio pregio del volume è senz’altro la presentazione, e conseguente sapiente utilizzo, di fonti documentali ad oggi inedite (come il prezioso archivio di Gaetano Arfé, depositato nella Fondazione Filippo Turati di Firenze), grazie alle quali l’autore è stato in grado di chiarire e definire più precisamente i dettagli di alcuni elementi storico-politici del Gruppo Gramsci, le cui vicende, negli ultimi anni, hanno attirato l’interesse di diversi studiosi non solo in virtù dell’importanza e della fortuna che il gruppo riscosse negli anni cinquanta, ma anche per il notevole livello critico dei loro studi, per il loro punto di vista “privilegiato” all’interno dei primi segnali di ripiegamento della politica comunista italiana e per l’influenza, sia diretta che indiretta, che hanno avuto negli sviluppi di quell’intensa stagione di movimenti e proteste politiche oggi note come il «’68 napoletano». Inoltre, all’interno del volume sono fornite utili ed interessanti informazioni sulla metodologia e la strutturazione del lavoro di studio e divulgazione del gruppo (indicando le loro principali opere di riferimento). Infine, Russo, oltre che aggiornarnare la bibliografia di testi e studi inerenti le vicende del giovane gruppo napoletano, presenta alcune lettere inedite tra Guido Piegari e Gaetano Arfé (che gli permettono di escludere con risolutezza il presunto legame tra il Gramsci e Secchia) e segnala la possibile esistenza di ulteriori ed inediti documenti, lettere e note che potrebbero non solo arricchire e chiarire ancora di più il quadro storico-politico all’interno del quale si mosse il gruppo, ma anche restituirci ulteriori frammenti e testi di quella fortunata stagione culturale napoletana.
Bibliografia minima:
P.A. Allum, Potere e società a Napoli, Torino, Einaudi, 1975.
N. Ajello, Intellettuali e Pci (1944-1958), Roma-Bari, Laterza, 1979.
G. Chianese, Il silenzio della ragione. Politica e cultura a Napoli negli anni Cinquanta, Napoli, ESI, 1994.
E, Rea, Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda, Torino, Einaudi, 1995.
G. Piegari, La filosofia classica tedesca e il tentativo di Hegel, a cura di E. Galzenati, Napoli, Bibliopolis, 2008.
G. Piegari, Speranze di civiltà. Una riflessione filosofica degli anni cinquanta, a cura di U. Feliziani, Napoli, Bibliopolis, 2010.
E. Rea, Il caso Piegari. Attualità di una vecchia sconfittta, Milano, Feltrinelli, 2014.
T. Saldaneri, Il Gruppo Gramsci, Napoli, Homo Scrivens, 2015.
G.G. Monti, Guido Piegari, il Gruppo Gramsci e la Federazione napoletana del PCI, in G.G. Monti, F. Palazzi e G. Perconte Licatese (a cura di), Tra ordine e conflitto. Filosofia, economia e politica nel Novecento europeo, Napoli, Aracne, 2017.
G.F. Borrelli, V. Dini e A. Gargano, Il ’68 a Napoli, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2018.