Segnaliamo volentieri l’uscita di un volume collettivo molto rilevante dedicato al tema, decisamente spinoso, del rapporto tra costituzionalismo e affermazione del populismo sovranista.
Il testo, Questioni costituzionali al tempo del populismo e del sovranismo (Editoriale Scientifica, 2019), a cura di Giuseppe Allegri, Alessandro Sterpa e Nicola Viceconte, è una raccolta di diversi contributi accomunati dal tentativo di analizzare i recenti fenomeni del populismo e del sovranismo in rapporto ad alcune rilevanti questioni costituzionali.
Più in particolare, il volume intende misurare l’impatto del sovranismo e del populismo sul piano dei limiti del potere, vero architrave del costituzionalismo fin dai tempi di Montesquieu. Infatti, l’assioma del volume, condiviso da tutti gli autori, riguarda – come ricorda il saggio conclusivo di Nicola Viceconte – «l’evidente incompatibilità tra la teoria e la pratica del diritto costituzionale e il pensiero e gli obiettivi del populismo e del sovranismo» (p. 267).
Dal punto di vista della teoria costituzionale dei limiti del potere, infatti, l’affermazione incondizionata della volontà del popolo come unica dimensione rilevante nei processi decisionali pubblico-statuali rappresenta una vera e propria sfida ad uno dei suoi capisaldi concettuali. Concentrandosi in particolare sul caso italiano – ma con uno sguardo attento anche alle dinamiche europee – e nel tentativo di evidenziare il cortocircuito tra costituzionalismo e populismo, i contributi presenti nel volume passano in rassegna alcuni dei più rilevanti campi problematici da esso sollevati. Si passa così ad analizzare il rapporto tra populismo e rappresentanza, in cui la relazione diretta tra il leader e il popolo sembra sostituire i canali classici della mediazione politica; si evidenzia il contributo di processi di lunga durata sull’affermazione del populismo, come ad esempio il fenomeno della “disintermediazione”, ovvero il progressivo venir meno delle forme attraverso le quali la costituzione repubblicana inquadrava il rapporto tra il singolo e la collettività (partiti, sindacati, organizzazioni sociali, ecc.). Non mancano poi i riferimenti a questioni più specifiche, che riguardano gli effetti del populismo su alcuni processi decisionali, come quelli riguardanti la spesa pubblica, l’immigrazione e l’adesione dell’Italia all’Unione Europea.
L’assioma fondamentale da cui muovono i diversi contributi – l’incompatibilità tra il populismo e la questione costituzionale dei limiti del potere – viene poi declinato lungo due direttrici, entrambe indagate a fondo e con acume nei diversi contributi. Il populismo – per come si presenta sulla scena politica italiana ed europea – è un fenomeno politico che rischia, a parere degli autori, di far saltare alcuni dei limiti fondamentali che l’esperienza storica del Secondo Dopoguerra aveva tradotto sul piano costituzionale nel tentativo di impedire nuove svolte autoritarie.
Sul piano “interno”, infatti, il populismo intende fare tabula rasa delle mediazioni interposte alla pur decisiva affermazione della sovranità popolare come fondamento di legittimità dei governi rappresentativi. Qui, sul terreno del governo rappresentativo, la sfida populista mina alla radice l’impianto costituzionale della rappresentanza politica, sostituendo ai canali tradizionali della formazione della volontà politica dello Stato (la rappresentanza parlamentare, il mandato libero e il vincolo di fiducia con il governo) l’espressione diretta del rapporto tra il popolo e il leader (sia esso un singolo individuo o un gruppo). Sul piano “esterno”, invece, la (presunta) affermazione diretta della volontà popolare – sempre ristretta nella cornice dello stato-nazione e di cui il populismo intende essere espressione – pone in discussione quei limiti che l’adesione al processo di integrazione europeo ha messo in campo nel tentativo di dar vita ad un ordine sociale e politico post-nazionale. Il populismo, infatti, manifesta la sua vocazione sovranista come rifiuto dei vincoli “esterni” che minerebbero l’espressione autonoma (e nazionale) della volontà popolare.
Si tratta dunque – come gli autori non smettono di sottolineare – di due facce della stessa medaglia. Populismo e sovranismo, infatti, «sono forme diverse per descrivere un medesimo fenomeno: la presunta prevalenza su tutto e su tutti (dentro e fuori lo Stato) della volontà contingente di una parte del popolo».
Di fronte a queste problematiche di notevole rilievo per il destino del costituzionalismo, gli autori si interrogano sull’effettiva possibilità di mettere in campo antidoti e contromisure che siano in grado di arrestare questa deriva tendenzialmente autoritaria. In primo luogo, la necessità di ripensare il costituzionalismo a partire dal superamento dell’asfittica dimensione nazionale nella quale esso è stato confinato nel corso del Novecento. Si tratterebbe, infatti, di «ristrutturare il pluralismo sociale e istituzionale in una dimensione nuova rispetto a quella del moribondo Stato nazionale. Ciò aiuterebbe a istituzionalizzare le ragioni di crisi che attraversano la rappresentanza politica e il pluralismo» (p. 41). Un nuovo costituzionalismo dovrebbe cioè assumere la crisi dello stato-nazione come terreno di sperimentazione per la definizione di nuovi “limiti del potere”, che si articoli intorno alla necessità di definire un piano di azione politico-normativo che tenga conto della complessità dei fenomeni sociali che sono emersi già da diversi decenni sul terreno della globalizzazione.
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